“Le avventure di Pinocchio” è una delle opere letterarie più famose e celebrate al mondo. Forse è quasi impossibile contare tutti i lavori che hanno preso spunto dal romanzo di Collodi e, in particolare, i tanti fumetti, film, serie animate, spettacoli teatrali e canzoni, che si sono ispirate alle vicende del burattino. Come sovente accade per tutti quei libri indirizzati ai bambini, anche se forse lo stesso Collodi non intendeva all’inizio realizzare una simile opera, le illustrazioni hanno molta rilevanza. Parecchi sono, infatti, gli artisti che si sono voluti misurare con Pinocchio.
Anche qui l’elenco è esteso e, giusto per citare alcuni, il lavoro di Lorenzo Mattotti per l’edizione Rizzoli (1990), Leonardo Mattioli e le sue tavole per i tipi della Vallecchi (1955), infine le rinomate illustrazioni di uno degli artisti di punta del Corriere dei Piccoli, Carlo Bisi (1945).
Durante l’ultima edizione della Fiera Nazionale della Piccola e Media Editoria, è stata presentata una nuova illustrazione, precisamente graphic novel, del capolavoro di Collodi. Luigi De Pascalis è l’artista che ha voluto affrontare questa sfida, perché di vera sfida si tratta. Questa volta si è voluto spogliare dai panni di scrittore ( “Il labirinto dei Sarra” e “La pazzia di Dio” sono i suoi romanzi più recenti, pubblicati entrambi da La Lepre Edizioni), per indossare quelli di pittore, illustratore. Una sfida, questa, che coinvolge anche la stessa casa editrice La Lepre, la quale ha voluto dedicare una specifica collana, “Strenne della Lepre”, proprio al fumetto ed alle illustrazioni.
Prima della presentazione, c’è stata l’opportunità di incontrare De Pascalis; un modo per comprendere meglio le particolarità del suo “Pinocchio”.
La sua illustrazione del capolavoro di Collodi non è, chiaramente, la prima. Cosa distingue la sua opera dalle altre? Le sue caratteristiche principali?
Per prima cosa, c’è la sceneggiatura integrale di tutto il “Pinocchio”. Ogni capitolo ha un certo numero fisso di tavole e ciò vuol dire l’inserimento degli episodi che, generalmente, non sono stati mai usati, forse perché considerati meno gratificanti dal punto di vista del disegnatore o comunque meno noti alla gente. Ho cercato poi di utilizzare un disegno antico, volendo cogliere, quindi, lo spirito della pittura toscana dell’800.
Quale episodio si è sentito quasi in obbligo di inserire?
Ad esempio, ho voluto includere l’episodio, un po’ marginale, nel quale Pinocchio incontra un grande serpente che muore dal ridere. Alla fine, Pinocchio è personaggio buffo e il suo modo di fare viene considerato ridicolo dallo stesso serpente che non riuscirà a smetterla di ridere, fino a morire.
Quali caratterizzazioni, toni, ha voluto imprimere nel suo lavoro? Che stati d’animo vorrebbe suscitare a chi decidesse di prendere la sua graphic novel?
Ho deciso di impiegare il color seppia, per fare in modo che i disegni sembrassero il più possibile fotografie antiche. Le tavole dovevano, quindi, rappresentare una vecchia storia di famiglia rivisitata. Il messaggio principale di “Pinocchio” è la fatica del crescere. Lui è personaggio scapigliato, disubbidiente, che diventa poi un perfetto borghese di fine ‘800. Questo è il senso del romanzo e, ovviamente, del mio “Pinocchio”.
Lei ha definito Pinocchio non un personaggio da fiaba, bensì da tragedia. Egli nasce burattino libero, ma sarà comunque costretto a crescere. C’è allora, in qualche modo, un rapporto con la cosiddetta “sindrome di Peter Pan”?
Forse la vicenda del burattino rappresenta piuttosto l’opposto della “sindrome di Peter Pan”. Pinocchio, infatti, soffre per poi crescere, mentre Peter Pan non vuole né soffrire e né crescere. Pinocchio è, perciò, l’esatto contrario di Peter Pan.
Tutti e due i personaggi, effettivamente, hanno ottenuto uno straordinario successo, anche se pochi hanno pensato di accostarli, mettendo in luce le loro rispettive valenze simboliche. Che idea si è fatto a riguardo?
Il loro successo è dovuto alla constatazione che il problema del crescere accomuna tutti gli esseri umani. Pinocchio e Peter Pan sono dei parenti stretti, anche se l’uno è il negativo dell’altro.
Che ne pensa dello stile e del valore letterario di Carlo Collodi?
Collodi non è un grande scrittore, ma ha creato un personaggio più grande di lui. Lo stesso è accaduto, ad esempio, con Sandokan e Sherlock Holmes, ossia personaggi la cui fama supera quello dello stesso loro creatore.
Come immagina la vita di Pinocchio dopo essere diventato finalmente essere umano in carne ed ossa? Mi riferisco alle sue considerazioni finali presenti nella prefazione…
Spero per lui che qualche volta torni ad essere il burattino che era all’inizio. Un Pinocchio tutto buone azioni è noiosissimo! Lui è stato, infatti, educato da una serie di incontrati che lo hanno segnato in negativo. Sto pensando adesso alla fatina che spesso lo ricatta o si prende gioco di lui. Stesso discorso per Lucignolo e il Gatto e la Volpe, tutti personaggi negativi. Quelli che Pinocchio teme sono, invece, positivi; ad esempio Mangiafuoco o il tonno. E’ l’ambivalenza dell’essere umano: i cattivi sono positivi, mentre quelli in apparenza positivi sono, in realtà, un po’ cattivi.
Si ritiene più uno scrittore o, invece, pittore? Oppure è una distinzione, magari, inutile nel suo caso?
E’ inutile questa separazione, perché c’è un tipo di scrittore che lavora per immagini e non considera troppo la bella scrittura, la perfezione maniacale dello stile. Io sono proprio uno di questi. E’ dall’occhio che parte la parola, questo è il mio motto.
I suoi progetti futuri?
Ho in programma due opere. Innanzitutto, sto lavorando al romanzo biografico di Giuliano l’Apostata e poi ho in cantiere una storia disegnata, che avrà come punto di riferimento il ciclo di Dante Alighieri, ossia dei romanzi di Giulio Leoni dedicati alle indagini del poeta nella sua epoca.
L’Ars Poetica di De Pascalis può continuare…