Alcune vite, nella loro dimensione più personale e individuale, sono il riflesso di altre universalmente note e passate alla storia. Come nel romanzo Le due vite di Elsa, di Rita Charbonnier, edito da Piemme.
Balbetta e cade in preda a crisi di nervi, Elsa, la protagonista, ma il destino, con il suo tocco imprevedibile, la porterà prima a recitare nel ruolo di Anita Garibaldi, poi a venir rinchiusa in una clinica psichiatrica. Sarà dura e avventurosa la lotta per spezzare le catene della repressione e correre incontro alla propria vita, come l’eroina dei due mondi, da cui Elsa trae forza e ispirazione: ‘Una donna priva di padroni. Una guerriera. Lei non era trasportata dal vento, oh no; lei il vento lo fendeva galoppando.’
Riesce magistralmente, Rita Charbonnier, nel non facile compito di inserire una delicata storia personale, fatta di lotta all’oppressione, nel più ampio sfondo storico di una Roma fascista buia e repressiva.
Un romanzo appassionante, dai personaggi indimenticabili.
Signora Charbonnier, nel suo romanzo il tema della parola è centrale. Elsa balbetta da quando era piccola, e a tratti si chiude nel mutismo. Perché fatica tanto a trovare la propria voce?
Quand’era molto piccola, Elsa si è sentita abbandonata dalla madre che aveva deciso di andare a prestare servizio al fronte come Dama della Croce Rossa, durante la guerra del 1915-18. La madre non è più tornata e lei ha iniziato a balbettare poco dopo. Da allora ha vissuto in un ambiente restrittivo e autoritario sia sul piano collettivo (l’era fascista) che su quello familiare. È circondata da persone che le dicono cosa deve fare, come deve essere e diventare – e che le tacciono verità fondamentali sulla sua persona. Lei le avverte oscuramente e questo accresce il suo disagio. Quando il segreto le viene rivelato nel peggiore dei modi, lo rimuove. Come dice uno dei medici che poi la prendono in cura, ci sono cose che Elsa ha troppa paura di dire, in primo luogo a se stessa: per questo non riesce a parlare.
Lei è stata un’attrice teatrale di fine talento. Si può dire che ne ‘Le due vite di Elsa’ abbia messo in scena le dinamiche psicologiche dei personaggi, i loro conflitti profondi, i loro segreti inconfessabili. Com’è invece la Roma che fa da sfondo?
È la Roma del Ventennio, la capitale che Mussolini voleva diventasse il simbolo, sul piano monumentale, del suo progetto di ricreare l’Impero. La Roma nella quale Trastevere era ancora un quartiere autenticamente popolare e il viale che lo taglia (voluto da Pio IX) si chiamava Viale del Re; la Roma dei tramway, che il duce per la verità detestava (in un discorso parlò di “stolta contaminazione tranviaria” e disse che bisognava smantellarla); la Roma, purtroppo, del “piccone demolitore”, che vide radere al suolo interi quartieri medioevali e rinascimentali per far posto alle ampie strade utili alle parate. Una città che dobbiamo immaginare molto più piccola, con un’aria provinciale, meno affollata, percorsa da pedoni (si camminava in generale di più). Ma c’erano comunque i tassì, o le “auto da piazza”, e in alcuni orari si può senz’altro ritenere che ci fosse traffico.
Elsa a teatro recita la parte di Anita Garibaldi. Nell’eroina non trova però solo un personaggio da interpretare, ma doti di cui sente di aver bisogno, come la forza, il coraggio, la combattività. Quello di Elsa è un Risorgimento personale?
La definizione mi sembra azzeccata. In fondo Elsa, alla fine del percorso, ritrova e riunifica le diverse parti di sé, che erano slegate, in conflitto e talvolta dominate da agenti esterni; quindi ci sono alcune corrispondenze.
La trama narrativa è intessuta di riferimenti alla storia risorgimentale. E’ un caso che il libro sia uscito proprio quest’anno, nel 150° anniversario dell’Unità d’Italia?
La genesi di questo romanzo è stata complessa. Mi piacerebbe quasi affermare di averlo scritto apposta per l’anniversario … ma non è così. I riferimenti al Risorgimento, peraltro, sono indiretti. Nella storia compaiono Garibaldi e Anita, ma come personaggi di una pièce teatrale – volutamente brutta, gonfia di retorica – e come fantasie della protagonista. Inoltre non c’è nulla di commemorativo; al contrario. Vi sono anche raccontate le celebrazioni garibaldine del 1932, che coincisero con il decennale della marcia su Roma (quando sul Gianicolo fu inaugurato il monumento ad Anita, opera di Mario Rutelli) ma soprattutto nelle loro ombre e nei loro misteri.
C’è nel suo romanzo, un episodio, un dialogo, uno scorcio o un sentimento, cui è particolarmente legata, come scrittrice?
Forse la morte di Anita, che Elsa rivive sovrapponendovi la morte della propria madre. È un momento drammatico e doloroso; ma è un dolore necessario perché il personaggio si apra a una nuova vita, e ritrovi anche la semplice capacità di gioire.
Le due vite di Elsa
di Rita Charbonnier
Edizioni Piemme
Immagini per gentile concessione della Casa Editrice Piemme