“A sessantacinque anni ho preso da dentro la mia nostalgia e così è uscito Il ladro di Roma”, spiega lo scrittore libanese Mustafa Jouni. Nelle sue parole si riconosce tutto lo spirito che anima il suo ultimo libro, edito da Gangemi, memoir della vita da studente arrivato in Italia negli anni ‘70 per gli sudi di ingegneria. “Appena sono laureato, non ho avuto il tempo di scrivere le mie nostalgie. Siamo una famiglia con quattro figli…”, continua con il suo italiano che tradisce appena la madrelingua araba.
Nel libro, composto da cinque racconti, la narrazione di Jouni corre libera sul filo della memoria, e nessuna correzione è stata apportata alle piccole incertezze linguistiche, che hanno un suono autentico e vivo. Gli anni trascorsi sembrano non aver intaccato i sentimenti della giovinezza, che affiora tra le pagine con tutta l’emozione e l’ingenuità di cui è capace. Scrive dei suoi vent’anni l’autore, trascorsi prima a Parma, poi a Bologna e infine a Roma: “La mia famiglia era povera. Papà faceva il ciabattino e mamma per farmi studiare ha venduto tutti i tappeti di casa, stava per farlo anche con un dente d’oro. Si mangiava solo quando si riusciva a lavorare…” Ma scrive anche di un paese che non c’è più, dove le porte delle case servivano a far entrare gli altri più che a tenerli fuori, e la paura era tutt’al più una forma di pudore.
Gli uomini, ma soprattutto le donne che Jouni incontra, hanno una vita difficile, a volte ai margini della società, e il miracolo italiano, con la sua ventata di opportunità, sembra essersi tenuto lontano da loro. C’è Paola, una prostituta di cui il giovane universitario s’innamora, Tonino, il vicino silenzioso e timido, Rita, con il suo passato da dimenticare, e poi Daniela, un amore che sa di “cioccolato extra-fondente.” Con tutti egli instaura un rapporto fatto di ingenua curiosità, di rispetto verso le strade tortuose che il destino distribuisce, perché “l’amicizia tra due persone non si misura dall’occupazione che hanno.” Ognuno è l’impronta mai cancellata dei primi passi mossi nel nostro paese, di cui, dice l’autore, “ho solo ricordi belli: gli amici dell’università, i vicini, le famiglie che ho conosciuto, le strade, i palazzi…” La memoria è più vivida che mai, e la scrittura spontanea non si sottrae alla rievocazione di un’età che vive di sentimenti e di idealismo, nonostante “un temperamento austero, un carattere all’antica.”
Inevitabile il confronto tra la condizione degli stranieri di ieri e di oggi. “Alla fine degli anni ‘60 erano per lo più studenti universitari”, – spiega Jouni -, oggi sono persone che scappano dai loro paesi a causa della guerra e della povertà. Da noi in Libano, dove la popolazione è di quattro milioni e mezzo, i profughi sono ormai un milione e mezzo.” E nel suo Libano, dopo la laurea, l’autore è tornato e tuttora vive. La nostalgia di ieri per il paese di origine, bellissimo, dove dalle montagne al mare si vivono tutte le stagioni contemporaneamente, lascia spazio a quella di oggi per l’Italia, e in particolare per la sua capitale. “Ho vissuto più anni a Roma rispetto a Parma e a Bologna. Lì c’è il mio primo amore, la storia… Roma è una città che non dorme mai, completamente diversa da ogni altra città d’Italia e del mondo.”
Ama profondamente il suo paese natale, Jouni, dove durante la guerra del 1984 un missile ha colpito la sua casa distruggendo tutto ciò che aveva, compreso l’unico ricordo del suo amore con Daniela. Sa che è là che vuole essere seppellito, anche se considera l’Italia la sua seconda patria. Oltre a Il ladro di Roma, Mustafa Jouni ha scritto Miele amaro, e le liriche di tipo madrigale Ho mantenuto la promessa ed E’ un sogno.
Il Ladro di Roma
di Mustafa Jouni
Gangemi Editore