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Facciamolo a skuola

facciamolo_a_skuola_artScioccante, incredibile, eppure così vero Facciamolo a skuola, l’ultimo libro di Marida Lombardo Pijola edito da Bompiani. Racconta storie di quasi bimbi con internet per balia, Peter Pan di un mondo virtuale nel quale nascondono il proprio io e esibiscono il proprio corpo, a volte vendendolo, sempre più persi, sempre più soli.

Il vortice in cui viene travolta Nina, la protagonista tredicenne, fatto di droga, alcol, sesso sfrenato e anoressia, è talmente sconvolgente che si preferirebbe pensare all’esagerazione giornalistica, alla ricerca di sensazionalismo. I tanti casi di cronaca ci ricordano invece che questo mondo di giovanissimi in preda all’auto-distruzione esiste, ed è accanto a noi, nelle camere dove i ragazzi vivono perennemente davanti al computer, in una bolla di apatia e di malessere che gli adulti preferiscono non vedere.
Non distoglie mai lo sguardo dalla realtà Marida Lombardo Pijola, neanche quando ci lascia increduli e senza parole. Lo ha fatto nei suoi precedenti , Ho 12 anni faccio la cubista mi chiamano principessa, e L’età indecente, e lo fa continuamente dalle pagine de Il Messaggero, dove è inviata speciale.
E’ considerata uno dei maggiori esperti di problemi giovanili, e per il suo impegno in favore dei minori ha ricevuto, tra i vari riconoscimenti, una targa da Telefono Azzurro.

lombardo_pijola_marida_artSignora Lombardo Pijola, fonti autorevoli come Save the Children e la SIGO (Società italiana di ginecologia e ostetricia) denunciano da tempo un mondo di ragazzi appena adolescenti in preda a un disagio profondo, che ha il nome di depressione, uso di alcol e droga, disturbi alimentari, comportamenti sessuali a rischio. Perché molti adulti sembrano ignorare questa realtà, anche quando riguarda direttamente i loro figli?
Forse proprio perché riguarda direttamente i loro figli.  Prenderne atto equivarrebbe all’ammissione di un fallimento formativo, affettivo,  familiare.  Così, tendenzialmente, nei più, funziona un ostinato riflesso alla rimozione.  Sviare lo sguardo,  auto-assolversi a priori,  convincersi che l’emergenza riguardi solo altri, e non tuo figlio, per carità, figurati, lui è diverso, noi siamo diversi, non ci potrebbe mai accadere.  Ecco che succede. Ma non è così. Questa deriva generazionale è molto estesa, è molto contagiosa, è trasversale rispetto alle classi sociali o alle aree geografiche, ed è dissimulata, da parte dei ragazzini, nel perimetro di una vita parallela completamente dissociata da quella familiare. Un sistema di riti, abitudini, dittature, automatismi collettivi che sfugge al controllo degli adulti, che si diffonde con un passaparola più potente e persuasivo delle istruzioni per la vita che possiamo dare noi, e che dilaga e si autolegittima soprattutto attraverso la navigazione ossessiva,  incontrollata e precocissima sul web. Nella Rete, i quasi bambini viaggiano da soli, educandosi a vicenda al pensiero unico che ispira i loro comportamenti, senza la nostra mediazione. Per cogliere indizi di questa loro doppia vita occorre coraggio. Occorre sapere che non esistono zone franche, salvo quelle determinate dalla blindatura di un’inossidabile formazione ai valori e alle emozioni. Occorre esercitare uno sguardo molto attento, un’attenzione molto competente, sin da  quando frequentano le scuole elementari. E’ allora, quando sono più flessibili, più plasmabili, più fragili, che comincia l’intossicazione, e di questo bisogna essere consapevoli. Non solo: ogni anno,  con la potenza di divulgazione e con le accelerazioni indotte dalla Rete, la trasfigurazione diventa sempre più capillare, più estrema, più disinibita, più precoce.

Nina è una tredicenne già nel baratro. Con quali passi falsi vi è caduta? Quale percorso l’avrebbe tenuta lontana?
Il suo percorso è orientato verso il baratro sin dall’inizio: Nina vive  da sempre segregata in una bolla di solitudine, senza riuscire a comunicare coi “noiosi”, come lei li chiama. Suo padre, (“il Muto”, è il soprannome che gli ha dato), sua madre (“Scottex”), gli altri adulti, che vivono a loro volta segregati in altre bolle: le loro ossessioni, le loro ambizioni scadenti, i loro conformismi, i loro silenzi, le loro sciatterie affettive, i loro tic. Quello in cui vive Nina, è un mondo di adulti aridi, autoreferenziali, emotivamente pigri, che non sono riusciti a contaminarla con tutto ciò per cui vale la pena vivere: le passioni, le emozioni, la conoscenza, gli ideali, le relazioni, i valori. Autismo familiare: un non-linguaggio che Nina trasferisce nelle sue relazioni sociali, perché è l’unico che conosce. Apatia interiore,  pensiero debole, progetti futili: è questo che Nina ha imparato a casa.  Non riesce a comunicare mettendo in campo le sue risorse, perché nessuno le ha insegnato a scoprirle ascoltando se stessa.  Non si piace ed è infelice perché sente di non corrispondere ai requisiti richiesti per essere “vincenti”: bellezza, ricchezza, capacità di consumo.  Adegua la sua personalità a quella degli altri, cerca di disperdersi in un flusso liquido per non riconoscersi, accetta i codici del gruppo per essere accettata. E così, oppressa dal suo sentirsi brutta, di condizione sociale inferiore rispetto a quella delle sue compagne e perciò “perdente”, decide di vendere il suo corpo nei bagni della scuola per dimostrare agli altri e a se stessa di “valere” secondo i parametri correnti: attribuire al suo corpo un prezzo sul mercato. Ho scelto di raccontare la sua storia, selezionandola tra molte simili che ho raccolto nel mondo degli psicoterapeuti dell’età evolutiva, perché mi è sembrata particolarmente struggente ed emblematica.

Spesso i ragazzi, o addirittura i bambini, vengono descritti come super-impegnati, con un’agenda di attività degna di un manager. Poi però confessano di essere in preda a una noia che li anestetizza e li paralizza come in una ‘bolla’. Non è contraddittorio?
Direi che tra una  condizione e l’altra, nelle strategie di formazione, corre la stessa differenza che c’è tra l’accudimento e l’accoglienza. Ma questo non è contraddittorio: tutto si tiene. In quello che gli americani definiscono “overparenting”, ovvero seppellire i figli sotto una mole di impegni, oppure assecondare indiscriminatamente il loro consumismo, c’è l’altra faccia dell’incapacità di dar loro un’adeguata educazione emotiva.  Le agende strapiene di impegni dei nostri figli sono l’altra faccia della loro solitudine familiare.  L’overparenting è un modo per acquietarsi la coscienza raccontando a se stessi che si sta facendo il massimo, ovvero ci si sta prendendo cura del loro futuro di “vincenti”, non sentendosi in grado di fare l’essenziale, ovvero abituarli a essere se stessi e a star bene con se stessi, prendersi cura dei loro sentimenti, delle loro sensibilità, delle loro gerarchie di valori, delle loro progettualità interiori. E’ un modo per considerare persino i figli oggetti di consumo (consumo il  tuo tempo, figlio mio, per appagare le ambizioni che ho scaricato su di te), piuttosto che accudirli con l’ascolto, l’attenzione, la tenerezza, aiutarli a scoprire le proprie inclinazioni, a non aver paura dei vuoti, a saperli riempire con la scoperta di sé. E’ così che ci si prepara a un futuro di persone equilibrate e serene, e questo  vale più dell’acquisizione di tutti i know how di vario genere che serviranno per affermarsi nella vita. Io credo che questo genere di strategia formativa metta in circolazione persone  competitive, nevrotiche, anaffettive, capaci, magari, di raggiungere il successo sociale ed economico, ma dominate dall’insuccesso , dalla frustrazione, dall’analfabetismo emotivo nella realizzazione di sé come persone.

La nostra società è ossessionata dalla dimensione fisica. Al minimo aumento di peso o problema estetico, reale o immaginario, scatta l’offensiva. Segnali d’allarme come mancanza di auto-stima, difficoltà a relazionarsi, senso di inadeguatezza vengono invece spesso ignorati. Com’è possibile continuare a negare ai giovani un’educazione psicologica, affettiva?
E’ possibile perché la bolla in cui vivono segregati Nina e gli altri è una bolla sociale. I quasi bimbi sono nativi di una società inaridita, nichilista, superficiale, sfibrata nelle relazioni sociali e umane, nelle sue risorse di solidarietà, di attenzione all’altro, di empatia, nel suo sistema di passioni e di ideali, e questa deriva si riflette anche nei rapporti familiari.  E allora il totem diventa l’esteriorità, l’esibizione della capacità di consumo, l’apparenza, la rappresentazione di se stessi, l’immagine. Sono i danni collaterali, spinti all’estremo, della società  che aveva profetizzato Pasolini negli anni 70; un regime che si è realizzato, proprio come lui presentì, attraverso il potere persuasivo e omologante della televisione. Successo vuol dire capacità di dimostrare benessere,  potere d’acquisto, capacità di consumo di tutto e anche di sé.  In questo tipo di società, il corpo femminile è anch’esso un oggetto di consumo, ed è uno strumento per conquistare successo, danaro, visibilità sociale e mediatica, persino incarichi politici. Così il mantra della scorciatoia è diventato il rumore di fondo del millennio. Nelle proposte di questa ideologia, che manipola e inganna Nina e i suoi coetanei, l’ uomo è un predatore, la donna è un oggetto di carne da predare. Tutto concorre a incoraggiare quest’ identità femminile: capi d’abbigliamento, giocattoli, programmi televisivi, pubblicità,  film, icone mediatiche. E così le femmine, sin dall’età delle scuole elementari, avvertono l’urgenza di adeguarsi sin da subito, negli atteggiamenti, al modello considerato vincente: fatali e disinibite, che investono i loro talenti femminili nella capacità di seduzione, affrancandosi prima possibile dalle “zavorre” del pudore, della dignità, del rispetto di sé.

Le ragazze e i ragazzi che riescono a rimanere al di fuori della ‘bolla’ che li paralizza e li annichilisce, che armi possiedono? Modelli educativi, auto-stima, coscienza di sé stessi e del proprio corpo?
Possiedono solo le armi di cui gli adulti sono in grado di rifornirli, con il carisma e la credibilità delle buone proposte e soprattutto dei buoni esempi. Tutto ciò che accade nel mondo dei quasi bimbi, non è altro che la riproduzione in miniatura (un po’ più integralista, e totalmente priva di una percezione di disvalore), di tutto ciò che accade nel mondo degli adulti.  Per cercare di cambiare loro, c’è un’unica strada percorribile: cercare di cambiare noi.  I piccoli sono ciò che noi ne abbiamo fatto, attraverso i nostri messaggi diretti o subliminali, attraverso le nostre progettualità, attraverso gli stili di vita che adottiamo, reinterpretati e divulgati da loro attraverso i  kit tecnologici. Noi li abbiamo condannati a vivere nell’ ”Epoca delle passioni tristi”, per citare il titolo di un bellissimo libro di due psichiatri francesi, che racconta come tutta la società occidentale stia scricchiolando sotto il peso della sua mancanza di passioni, di speranze, di progetti. Il rischio è quello di farne degli alieni senza passato e senza futuro, che vivono galleggiando nei loro vuoti interiori, intrappolati nel loro sistema di sballi, trasgressioni, dipendenze, storditi dal frastuono muto del loro mondo virtuale, lontani da noi milioni di anni byte, smarriti, perduti, autistici, irraggiungibili, in fuga da noi, dalla vita reale, e soprattutto da se stessi.

Facciamolo a skuola
di Marida Lombardo Pijola
Edizioni Bompiani

Immagini per gentile concessione della casa editrice Bompiani

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