Manca qualche giorno a Natale. E’ una serata buia, piovosa, e a Roma si teme che il Tevere possa esondare da un momento all’altro. Sull’autobus 175, diretto alla stazione Piramide, siedono quattro ragazzini.
“Ah, questi rumeni, questi rumeni assassini, avete sentito di quello…”, mormora qualcuno, evitando anche solo di guardarli. Sull’autobus c’è anche la giornalista Carlotta Mismetti Capua, l’unica a rivolgere loro la parola. Sono afgani i ragazzini, e sono sporchi perché sono arrivati a Roma a piedi da Tagab, al confine con l’Iran. Hanno camminato per 4950 chilometri tra le montagne piene di neve, mangiando due mandorle al giorno e indossando solo delle felpe di cotone.
Con il piglio della giornalista e lo slancio di chi non riesce a voltarsi dall’altra parte, Mismetti Capua decide di fare qualcosa. Non dà ai ragazzi solo dei soldi, ma anche un cellulare, perché la cosa non finisce lì, anzi, è solo l’inizio.
Parte così un vortice di tentativi, dentro al quale vengono travolte le associazioni umanitarie, incapaci di aiutare veramente i ragazzi, la legislazione, di difficile applicazione, e le iniziative personali, suscettibili di tradursi in un’incriminazione per tratta di minori.
L’esperienza verrà raccontata giorno per giorno dalla giornalista, prima nel blog La città di Asterix, assieme ai suoi cittadini e a un gruppo Facebook, e poi nel libro Come due stelle nel mare, edito da Piemme.
Carlotta Mismetti Capua è l’autrice non solo di un libro avvincente e commovente, ma anche di un reportage-denuncia di grande valore giornalistico, condotto con una forte carica umana e spirito di condivisione, come testimonia la licenza Creative Commons, una forma di diritto d’autore che facilita la divulgazione delle opere, con la quale viene messa a disposizione la lettura di alcuni capitoli.
Perché tutti sappiano quello che succede, proprio adesso, proprio nella nostra città.
Come due stelle nel mare è una storia lontana da ogni forma di buonismo e sentimentalismo. Lei è stata definita ‘un angelo’, ma, come scrive nel libro, ‘quella parola a me non mi è andata giù’. Che cosa l’ha spinta, quella sera, a interessarsi alla sorte di quei ragazzi afgani?
Se fossero stati cinesi o iraniani, ero lo stesso. Non sapevo nulla dell’Afghanistan, sapevo che erano soli, che pioveva, che Roma è diventata una città cattiva, che poteva succedergli qualcosa di brutto. Semplicemente non volevo lasciarli soli, scendere e tornare a casa mi avrebbe pesato.
All’epoca Akmed, uno dei ragazzi, aveva 15 anni. Durante questa incredibile vicenda, lei si è scontrata, da un lato con l’impotenza di alcune associazioni umanitarie, e dall’altro con i lacci della burocrazia. Insomma, il principio di inespellibilità prevede il divieto di espulsione per i minori, ma le strutture per accoglierli non sono sufficienti, e chi come lei cerca di fare qualcosa,rischia un’incriminazione per tratta di minori. Come se ne esce?
Intanto la legge recente, il famigerato pacchetto sicurezza, è costruito in modo da danneggiare i ragazzi: una volta arrivati devono dimostrare di avere frequentato la scuola, e di essere sul territorio da due anni prima della maggiore età. Due condizioni paradossali, la prima perché non sempre siamo in grado di mandarli a scuola e di offrire loro un percorso di inserimento ragionevole, e la seconda perché succede che partano sempre più piccoli. L’amministrazione spende un sacco di soldi, male, per poi rimetterli a 18 anni sulla strada. L’Italia non ha e non ha mai voluto una legge seria sul diritto d’asilo, che invece è un diritto. Il nostro presidente Pertini ne ha goduto, quando scappò dall’Italia.
Il suo interessamento per Akmed, le sue telefonate, le sue domande, hanno finito per insospettire le forze dell’ordine, che volevano sapere chi lei fosse. ‘Cittadina’ non è bastato come risposta, tanto che è stato necessario etichettarla come ‘benefattrice’. Che società è quella che non sa rispondere al famoso interrogativo di Martin Luther King :‘La domanda più importante della nostra esistenza è cosa posso fare io per gli altri?’
Una società senza spirito.
Lei è una giornalista. Ha vissuto la realtà dell’immigrazione dei minori a livello professionale, attraverso i media e le notizie, ma anche a livello personale e umano, tramite l’incontro con Akmed e i suoi compagni. Ad un certo punto ha chiesto a un suo collega se il vostro è un lavoro morale, e lui ha risposto che è già tanto se non si fanno danni. Questa storia l’ha messa in crisi come giornalista?
Credo che la vita la si riconquista ogni volta, da capo. E così la professione. Non a caso sono andata fuori dalle regole, anche quelle deontologiche, e ho scritto su Facebook e non sul mio giornale, tutto questo, e l’ho fatto gratuitamente. Per me stessa e per tutti. Il Premio Ischia del giornalismo, del luglio 2010, e ora questo libro, sono arrivati come dei riconoscimenti professionali, a qualcosa che avevo dovuto fare fuori dalla professione. Non so cosa pensare di questo, ma è andata così. So che dalle crisi, anche da quelle con la propria professione, ne nasce sempre qualcosa, e questo è già tanto.
L’articolo 13 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani dichiara: “Ogni individuo ha diritto alla libertà di movimento e di residenza entro i confini di ogni Stato. Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi Paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio Paese.”La Dichiarazione è stata approvata nel 1948. Pensa che abbiamo finito col dimenticarla?
Così come la nostra Costituzione è largamente inattuata, ma è importante che nella storia dell’umanità si siano messi per iscritto certi valori, e certe regole. A cui aggrapparsi, sulle quali lavorare, tutti, in ogni parte del mondo e ognuno nel suo tempo. I diritti umani sono lenti, ma appunto universali: raccolgono qualcosa che in aspirazione c’è, dentro ognuno di noi. Insieme al resto, insieme al male, all’ignavia, alla meschineria, siamo capaci di utopie. Credo nelle utopie che si realizzano minuto per minuto.
Chi è oggi Akmed?
Un ragazzo di 19 anni, che lavora e studia. Che ha i suoi problemi e i suoi sogni. Prego per lui, laicamente, perché la sua vita non è facile, e il mondo in cui deve vivere non è quello in cui è cresciuto, sta ricominciando tutto da capo ed è importante che possa cominciare sulla via giusta.
Come due stelle nel mare
di Carlotta Mismetti Capua
Edizioni Piemme
Leggi i primi capitoli di ‘Come due stelle nel mare’
Foto di copertina: ©Kevin Fleming/Corbis
Foto autrice: ©Caterina Notte