Quella vita che ci manca art

Quella vita che ci manca

Quella vita che ci manca artValentina D’Urbano sceglie per il suo ultimo fortunato romanzo Quella vita che ci manca (Edizioni Longanesi) la stessa ambientazione del libro d’esordio Il rumore dei tuoi passi. La Fortezza, quartiere immaginario della periferia romana, si inserisce nella trama fin dalle prime pagine, la anima di tensione, e ne diventa, oltre che scenario, interprete. Le case occupate, gli allacci abusivi, le strade disseminate di fango e d’immondizia non sono solo connotazione urbana, ma anche personale, perché se sei della Fortezza “ce l’hai scritto in fronte da dove vieni”.

E’ un posto che sembra sgretolarsi da un momento all’altro, dove l’unico collante è la famiglia Smeraldo, quattro fratelli figli di padri diversi, tutti con gli occhi azzurri, ereditati dalla mamma, donna segnata dagli anni e dai chilometri di scale lavate per tirare avanti. Hanno “le facce scorticate da chi nella vita se l’è vista veramente brutta”, Anna, Alan, Valentino e Vadim, coi loro nomi presi dalle soap operas, e reagiscono a modo proprio alla chimica dell’ambiente in cui sono immersi. C’è rabbia, rassegnazione, ma anche speranza, voglia di varcare i confini del territorio e del destino, alla ricerca di quella vita che manca, perché “a vent’anni hai tutta la vita davanti e più niente da perdere”.
Non potrebbe essere più vero questo quartiere immaginario, costruzione narrativa che la scrittrice romana padroneggia con scioltezza, grazie ai dialoghi incalzanti, alle descrizioni crude, e a una trama sempre ben tesa, dove lo sguardo sulla realtà sociale non si abbassa mai.

DUrbano Valentina artValentina, oltre alle sue evidenti abilità narrative, ciò che colpisce nel suo ultimo romanzo Quella vita che ci manca è la descrizione del tessuto sociale degradato e delle dinamiche esistenziali di ogni singolo personaggio. Lei ha appena trent’anni, da dove nascono il suo realismo e le sue capacità introspettive?
VD: Sono nata e cresciuta in un quartiere molto simile a quello descritto in Quella vita che ci manca.
Ho avuto spesso la stessa rabbia di Alan, la rassegnazione di Anna, ma soprattutto la speranza di Valentino.
Non è un romanzo autobiografico nel senso stretto del termine, ma rappresenta quello che sarei stata, quello che sarei dovuta essere. Se avessi deciso di rimanere lì, di adagiarmi sulla mia condizione.

Il quartiere immaginario della Fortezza, sinonimo di malavita ed emarginazione, marchia chi ci vive negandogli una via d’uscita, un riscatto. Riguardo alla nostra situazione attuale, cosa pensa della mobilità sociale nel nostro paese?
VD: Diverse statistiche riportano che in Europa, L’Italia sia uno dei paesi con più alta mobilità sociale. Sarà ma io non lo vedo. È un’ovvietà, ma per avere una vera opportunità di mobilità sociale servirebbero più servizi di livello, a partire dalla scuola. In certi ambienti si prendono a modello esempi sbagliati, strade non proprio etiche per emergere. Il ragazzino di sedici anni vede la vetta nel calciatore o nell’attore e mai nella , perché già dall’inizio la cultura parte svantaggiata e si esalta solo l’immagine e mai il sacrificio che c’è dietro a qualunque cosa, che si parli di sport, di cinema, di letteratura.
E mi sembra che peggiori sempre di più, che se sei nato nel posto giusto e nella famiglia giusta puoi andare avanti senza problemi, altrimenti è meglio mettersi il coltello tra i denti e cercare di galleggiare. Qualcuno ce la fa a tirarsi fuori, ma sono sempre troppo pochi e spesso si ignora la strada percorsa per arrivare “in cima”.

La famiglia Smeraldo è una pietra incastonata in un quartiere che cade a pezzi. Il loro aggrapparsi l’uno all’altro sembra l’unico punto fermo di un destino inesorabile, già segnato. Cosa li unisce e cosa li divide?
VD: Li unisce la consapevolezza di essersi scelti e di continuare a farlo ogni giorno. Sono fratelli a metà, vivono in una situazione disperata, niente gli impedirebbe di separarsi e andarsene ognuno per la sua strada, eppure rimangono. Non perché devono, come vogliono far credere, ma perché desiderano rimanere.
Una famiglia però è fatta di persone con caratteristiche diverse e inevitabilmente questo crea fratture. Può sembrare un paradosso ma io credo che la sola cosa che li divida è in realtà la paura di perdersi.

Quella vita che ci manca può anche essere letto come una denuncia sociale. Crede che i tempi siano maturi per una letteratura più impegnata?
VD: Domanda complicata.
Io ho scritto una storia che sentivo dentro, non ho pensato al tipo di messaggio che avrei lanciato o se stessi facendo o meno denuncia sociale. Ho scritto una storia che mi piace e che amo, come ogni scrittore con i suoi romanzi, ed è lì per chi vorrà leggerla, per chi vorrà affezionarsi ai personaggi. Tutto il resto sono sovrastrutture che non posso mettere io, sarebbe come chiedere all’oste se il vino è buono!

Quella vita che ci manca
di Valentina D’Urbano
Edizioni Longanesi

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