Esiste la storia che si legge sui libri, fatta di date e avvenimenti, che nei suoi capitoli racchiude le vicende di milioni di persone, lasciandole però senza volto e senza nome. Tra noi e loro si frappone il tempo trascorso, che sbiadisce i ricordi e stempera le emozioni. Quando però la voce di una di quelle persone si leva per raccontare la propria storia, e per questo diversa da ogni altra, nasce un libro come La farfalla impazzita, scritto da Giulia Spizzichino con Roberto Riccardi (Casa Editrice Giuntina).
“La mia storia è una matrioska“, scrive l’autrice ebrea romana, ed in effetti dalle pagine i fatti emergono uno dopo l’altro, senza tregua e senza pietà. Non si tratta solo di rimandi a un passato tragico e buio come le leggi razziali del ’38, il rastrellamento del Ghetto di Roma (16 ottobre 1943), le deportazioni (prima metà del ’44), o l’eccidio delle Fosse Ardeatine (24 marzo ’44). E’ la vita di Giulia, che a undici anni un giorno viene cacciata da scuola perché è ebrea; è una cena che non verrà mai consumata, perché nonni, zii e cuginetti, il più piccolo di diciotto giorni, all’imbrunire vengono catturati dai nazisti (“Possibile che lassù non sia vietato accettare angeli così piccoli?“). Il ramo materno della famiglia, i Di Consiglio, con le sue sette vittime alle Fosse Ardeatine, è la più colpita di tutta Roma: in un solo giorno scompaiono tre intere generazioni, dal nonno ai nipoti. Ma alla fine della guerra, la straziante conta sale a ventisei: nessuno farà mai ritorno dal campo di concentramento di Auschwitz.
Giulia, i genitori e la sorella riescono a salvarsi dal rastrellamento del Ghetto grazie alla lungimiranza del padre, da alcuni ritenuto un allarmista, che porta i suoi cari fuori Roma, una città che da “madre accogliente e premurosa, era diventata una matrigna.”
Il 4 giugno 1944 Roma viene liberata dall’occupazione tedesca, e Giulia si trova a ricominciare “dal punto in cui è iniziato questo grande, immenso dolore.” Le ferite sembrano insanabili, e la sua vita tesa tra chi le dice che deve dimenticare e l’impossibilità di farlo: “Mi sveglio nel cuore della notte e non riesco più a prendere sonno, c’è come una processione che sfila davanti ai miei occhi…”
Un momento cruciale nella vita di questa donna dall’inesauribile forza interiore è il 1994, quando vola in Argentina, dove vive indisturbato Erich Priebke, l’ex capitano delle SS responsabile dell’eccidio delle Fosse Ardeatine (“Ci sono circostanze, nella vita, in cui siamo chiamati a prendere decisioni più grandi noi“). Il suo contributo è fondamentale per estradarlo in Italia, dove dopo una travagliata vicenda giudiziaria viene condannato all’ergastolo. In seguito lei dovrà vivere sotto scorta per due anni a causa delle continue minacce di morte.
E’ un libro da leggere, da far conoscere e da rileggere, La farfalla impazzita. Giulia Spizzichino sulla copertina è una bambina in piedi su una sedia, che ci guarda dritto negli occhi. Per tutta la sua vita ha affrontato il suo passato portandolo nelle scuole, in TV, alla radio, sui giornali e nelle aule dei tribunali, trasformandolo in impegno civile del nostro presente: “Arriva un momento in cui la mente si rifiuta di accettare un simile orrore. Quello è il momento in cui ha davvero compreso.“
Signora Spizzichino, da un punto di vista storico si sa che fascismo significò avvenimenti drammatici come leggi razziali, deportazioni, Fosse Ardeatine. Ma a livello personale cos’ha significato per lei, che era solo una bambina?
GS: Ho cominciato a undici anni a sentire la persecuzione. Un giorno mi ha chiamato il preside e mi ha detto di tornare a scuola accompagnata dai genitori. L’indomani disse a mia madre: “Si porti immediatamente via la bambina, non può stare insieme alle bambine cristiane.” Tornando a casa mamma piangeva. Io non capivo perché, ma lei sì, sapeva che era solo l’inizio. Dopo hanno cacciato la ragazza che stava con noi da tanto tempo. Piangeva come un agnellino sgozzato mentre faceva le valigie. In seguito hanno spedito mio padre al confino per aver chiesto una licenza per mia zia. Gli ebrei non avevano più diritto neanche al lavoro. Ero sconvolta, io non capivo la questione della razza, ero una bambina. Ma il peggio cominciò il 13 ottobre, quando persi i primi cuginetti che abitavano nel mio stesso palazzo a Testaccio, in via Amerigo Vespucci. Il grosso dei parenti vennero invece prelevati il 21 marzo del ’44. Le donne e i bambini vennero deportati tutti quanti in Germania. Il più piccolo aveva diciotto giorni, sono stati caricati quella sera, era il primo giorno di primavera… Ed era anche il compleanno di mio cugino, il più giovane di tre fratelli, compiva diciassette anni. Verrà ucciso alle Fosse Ardeatine insieme al padre e a mio nonno. Le donne e i bambini furono uccisi subito nei forni crematori, senza neanche il numero sul braccio. Non tornò nessuno. In tutto ventisei persone.
Durante uno dei suoi tanti incontri nelle scuole, un giorno lei ha detto: “Per me, dopo quello che ho sofferto, nessuna gioia sarà più chiamata gioia e nessun dolore sarà chiamato dolore.” Cosa voleva dire?
GS: E’ una cosa che ho detto col cuore, ed è la verità, purtroppo. Nella vita capitano tante gioie, come la nascita di un figlio o di un nipotino, ma le accantoni con indifferenza. Non riesci mai a commuoverti, a coinvolgerti, perché dietro c’è un tale bagaglio di dolore… Io ho perso il mio primo figlio a causa di un’iniezione sbagliata. Aveva sei anni, era un tesoro, ed è stato un dolore forte, sconvolgente. Di solito è un dolore che mette da parte tutti gli altri, però se lei mi chiede qual è stato il dolore più grande della mia vita, non sono mai riuscita a darmi una risposta. Il dolore della perdita dei miei cari si affaccia tutte le notti, tutte. E’ come se mi sentissi chiedere: “Sono le tre e ancora non mi pensi?” E’ un coinvolgimento violento. Loro non vengono per darmi altro dolore, vengono a trovarmi. La loro immagine è così viva, fresca, come se li avessi lasciati pochi minuti fa.
Quindi sì, non è una frase inventata, è la verità: nessuna gioia la chiamerò più gioia e nessun dolore lo chiamerò più dolore. Mi ha chiesto cosa volesse dire anche la bambina di una scuola dove mi avevano invitato a parlare della mia storia. E io ho dovuto spiegarglielo. Me lo hanno chiesto tante persone, evidentemente è una frase che ha colpito molti…
Cosa risponde a chi, di fronte a una testimonianza sulla memoria come la sua, dice: “Ecco un altro libro sulla Shoah…?“
GS: La cosa che mi fa più soffrire, specialmente se detto da una persona vicina, è “non andare più in televisione, soffri tanto…” A me in effetti prende una cosa alla gola, si vede proprio che sto male, ma se un’amica cara mi dice di smettere, che sono passati tanti anni, che questo è masochismo, insomma, che è ora di voltare pagina, io rispondo di lasciarmi piangere da sola. Sa, a volte non si riesce neanche a piangere, perché uno si domanda perché. Perché?
La farfalla impazzita
Dalle Fosse Ardeatine al processo Priebke
di Giulia Spizzichino con Roberto Riccardi
Casa Editrice Giuntina