Dopo aver diretto e sceneggiato L’estate sta finendo, intrigante noir uscito lo scorso luglio, Stefano Tummolini ne propone un sequel letterario con Un’estate fa (Fazi Editore).
Nel film un gruppo di ragazzi trascorre un week end di fine estate in una splendida villa modernista sul litorale romano. L’atmosfera, in un primo momento dominata dalla bellezza delle spiagge e delle rocce, viene presto avvelenata dalle malignità e dalle gelosie che serpeggiano tra i protagonisti, fino a quando uno di loro, Guido, il “diverso” del gruppo, non scompare senza lasciare traccia.
Proprio da qui riparte Un’estate fa, attraverso testimonianze, deposizioni e rivelazioni tese a far luce su una vicenda di cui emergeranno i tanti lati oscuri.
Che fine ha fatto Guido? E soprattutto, chi era? Il nerd da “smazzarsi” oppure “uno che dice sempre quello che pensa, perché non deve dimostrare niente a nessuno”? Ogni singola voce aggiungerà un tassello all’appassionante racconto, in uno stile degno di Wilkie Collins ne La donna in bianco, coinvolgendo il lettore nella ricerca della verità.
Ricco di colpi di scena fino all’ultima pagina, Un’estate fa è un romanzo che ha il suo fulcro nell’indagine, che non è solo poliziesca, ma anche psicologica, sociale. E’ difficile definire amici questi ragazzi: i due studenti della Luiss, la ragazza di borgata, il cantante alternativo e il vincitore di un talent show sono piuttosto schegge impazzite di un universo umano mosso da egoismo e cinismo. Sarà la sapiente costruzione narrativa dell’autore, in un crescendo di suspense, a far scoprire al lettore come una giornata fresca di gioventù e illuminata dal sole possa tingersi di nero.
La trama di Un’estate fa ripercorre le ore che precedono la misteriosa scomparsa di Guido attraverso intercettazioni, deposizioni e mail di chi l’ha visto per l’ultima volta. Come suggerisce tanta cronaca, pensa che ci serviamo di mezzi moderni per sondare un mistero antico, cioè il nostro lato oscuro?
ST: Credo che questa componente “oscura” – che ha a che fare con l’istinto di sopravvivenza, con il bisogno di soddisfare i desideri primari e di affermarsi all’interno del clan – sia antica come l’uomo. Ma è anche vero che certi impulsi, con il tempo, si sono evoluti – o almeno trasformati. In questo la tecnologia ha avuto la sua parte. La sopraffazione e la violenza possono passare anche attraverso un sms o un tweet: anzi, è più facile dimenticarsi degli altri, o approfittarne, se non li abbiamo davanti agli occhi. D’altra parte è anche vero che le immagini, oggi più che mai, sono diventate uno strumento di sopraffazione. E i protagonisti del mio romanzo, che sono tutti ragazzi intorno ai vent’anni, ne sono perfettamente consapevoli.
Leggendo la vicenda in cui sono coinvolti questi cosiddetti ragazzi della “Roma bene” durante un fine settimana a Sabaudia, la memoria va alla terribile strage del Circeo, anche se nel libro non se ne fa mai cenno. Sembra così cadere l’opinione corrente secondo cui la generazione dei giovani d’oggi è capace di brutalità che in passato non sarebbero state possibili. E’ d’accordo?
ST: Mi rendo conto che l’associazione con quel delitto risulta quasi inevitabile, ma non era intenzionale. Ho scelto di ambientare la storia al Circeo semplicemente perché lo conosco bene. Dal punto di vista naturalistico e storico è un posto meraviglioso. La montagna, con la scogliera a picco sul mare e le ville moderniste a un passo dalle grotte preistoriche, è uno spettacolo abbastanza unico per me. D’altra parte, la buona borghesia romana che lo frequenta è un misto di contraddizioni. E’ cinica, disincantata, egoista – ma anche dolente e saggia. Essendo di estrazione più modesta, ho sempre provato nei suoi confronti un misto di invidia e fascinazione. La violenza che racconto nel romanzo, però, è diversa da quella del delitto del Circeo. La sopraffazione è più psicologica che fisica. In fondo questi ragazzi, oltre che carnefici, sono anche vittime. Data la società in cui vivono, l’auto-affermazione per loro è un specie di imperativo categorico. E poiché il livello di aspettativa è altissimo, da un lato si sentono inadeguati e dall’altro sono incontentabili: niente e nessuno sembra in grado di soddisfarli. Per questo diventano sprezzanti, anche spietati.
Il suo romanzo ha un antefatto nel film L’estate sta finendo, uscito lo scorso luglio, di cui lei è regista e sceneggiatore. Com’è nata l’idea di cominciare a raccontare una storia servendosi del mezzo cinematografico e di continuare con quello letterario?
ST: L’idea di scrivere un romanzo legato al film l’ha avuta Elido Fazi – che oltre ad essere l’editore di “Un’estate fa” è il produttore associato de “L’estate sta finendo”. Io ero molto affezionato ai personaggi del film – che avevo creato insieme agli altri due autori della sceneggiatura, Michele Alberico e Mattia Betti – e mi incuriosiva la possibilità di immaginare cosa avrebbero fatto una volta rientrati a Roma. Al termine del film la loro colpa resta impunita, anche se alcuni elementi – il conflitto insanabile tra i due protagonisti, un tempo amici per la pelle, e il rinvenimento da parte del giardiniere di una prova compromettente – lasciano intendere che qualcosa debba ancora accadere. Così il romanzo è diventato l’occasione per raccontare quello che la sceneggiatura aveva lasciato in sospeso. “L’estate sta finendo” e “Un’estate fa” sono autonomi e complementari: si può vedere il film senza leggere il romanzo e leggere il romanzo senza aver visto il film, ma si ha un quadro completo della vicenda, dei personaggi e del loro mondo, solo dopo aver visto e letto entrambi.
Lei dedica Un’estate fa “Alle mie vittime”. Chi sono?
ST: Tutte le persone a cui ho fatto del male, anteponendo i miei bisogni ai loro.
Un’estate fa
di Stefano Tummolini
Fazi Editore
Stefano Tummolini è nato a Roma nel 1969. E’ scrittore, traduttore e regista.
Ha collaborato alla sceneggiatura di serie TV di successo come Distretto di polizia, Il bello delle donne, Tutti pazzi per amore e di innumerevoli film, tra cui Il bagno turco di Ferzan Ozpetek. Ha tradotto in italiano opere di Thomas Hardy, Miguel de Unamuno, Gore Vidal, Guillermo Arriaga e John Williams. Nel 2009 è stato candidato al Nastro d’argento come miglior regista esordiente.