Una foto del 1980 ritrae tre ragazzi ventenni sul pratone di Villa Ada. Sono i fratelli Fabrizio e Mario Pedrotti, rampolli di un’altolocata famiglia romana, e tra loro sorride l’amico Giovanni, come se si fosse infilato per comparire nello scatto. L’immagine, parola dopo parola, viene messa a fuoco dalle prime pagine de La ricchezza, romanzo di Marco Montemarano edito da Neri Pozza, accompagnando fino all’ultima riga il lettore, che chiudendo il libro guarda ancora una volta quella foto ormai vecchia, modificata dal tempo e dalla memoria. Perché questo romanzo intenso e appassionante, è il ritratto di un’epoca e della sua generazione, quella che è stata adolescente negli anni della contestazione. C’è un quadro storico, dove, dopo le lotte politiche e sociali degli anni ’70 le tensioni collettive diventano sempre più individuali, ma la prospettiva è personale, privata.
Di questa storia indimenticabile, sono interpreti i fratelli Pedrotti: Fabrizio, il leader irresistibile dal fisico scolpito dal rugby, e Mario, più giovane di un anno, un ragazzo che sa l’odore triste di “un armadio chiuso”. Della loro vita entrerà a far parte Giovanni, il protagonista, quasi un terzo fratello, oltre che giovane amante della sorella Maddalena, “dai ricci del colore di certe alghe marine”.
Dagli anni ’70 a oggi, da Roma a Monaco passando per Buenos Aires, le vite dei quattro si incontreranno, si allontaneranno e si riavvicineranno così tanto, da renderle a fatica distinguibili tra loro in modo chiaro e inequivocabile. Il tempo passato e gli inganni della memoria bastano a spiegare perché l’imponente Fabrizio si scioglieva nel pianto, Mario era il più libero di tutti, Giovanni si definiva un libro aperto, mentre per Maddalena a quel libro mancavano diversi capitoli? La domanda dell’autore non è rivolta solo ai personaggi, ma anche a chi legge, non importa a quale generazione appartenga: la foto della nostra vita è veramente come appare, per noi stessi e per gli altri?
Vincitore del prestigioso premio letterario Neri Pozza 2013, La ricchezza è stato scelto tra 1870 manoscritti. Negli anni precedenti, Marco Montemarano, che è cresciuto a Roma ma vive a Monaco da 24 anni, dove insegna alla scuola interpreti, ha scritto cinque altri libri, incredibilmente mai pubblicati da nessun editore. Nel 2012, a cinquant’anni, ha vinto il concorso Io scrittore con Acqua passata, pubblicato in e-book.
La ricchezza è stato definito non un, ma il caso letterario degli ultimi anni, e Marco Montemarano, una promessa letteraria egregiamente mantenuta.
Nel suo romanzo La ricchezza, la memoria non è solo la capacità di mettere insieme il passato attraverso i tasselli dei ricordi. Giovanni, il protagonista, sembra infatti più costruire che ricostruire la propria vita. E sfogliando le pagine, si sente che la fallacità della memoria, il coma causato da un brutto incidente, non bastano a spiegare. Cosa fa nel presente Giovanni, quando pensa al passato?
MM: Il suo passato è in fondo il suo futuro. Giovanni a un certo punto della vicenda si pone l’obiettivo di ripristinare la verità storica degli eventi della sua vita, sperando che ciò gli restituisca le redini della sua esistenza. Intuisce che una parte di sé è legata a una ricostruzione dei fatti del suo passato – fatti che si svolgono soprattutto in una sorta di “età dell’oro” alla rovescia, tra gli anni Settanta e i primi anni Ottanta – che è arbitraria, che è anzi funzionale a un’immagine di sé nevrotica, coltivata fino alle estreme conseguenze. Il grande compito che gli si pone è quello di liberarsi e di cominciare finalmente – a cinquant’anni – a vivere. Io credo che spesso le “crisi di mezza età” succedano per questo: a un certo punto iniziamo a dubitare che l’impianto narrativo che presiede alla nostra identità sia veritiero. Ci mettiamo in marcia, proviamo a ricomporre i tasselli, a raccontarci la nostra storia in un modo diverso, un modo che speriamo più autentico.
Un altro tema che torna spesso nel libro, è la molteplicità di sfumature con cui noi stessi e gli altri possiamo venir ritratti. Vale per i tre fratelli Pedrotti, ma anche per lo stesso protagonista, che dice di essere “un libro aperto”, mentre un giorno Maddalena lo definirà piuttosto “un libro strappato” a cui mancano diversi capitoli. Che effetto producono a distanza di tempo questi colpi di realtà sulla costruzione della vita di Giovanni?
MM: Giovanni è un solitario. Poco a poco ci accorgiamo di quanto la sua solitudine sia funzionale al desiderio di coltivare e celebrare una certa immagine di sé, e che su questa immagine di sé il protagonista non ha mai tollerato interferenze. La realtà, che gli fornisce segnali sempre più allarmanti di quanto tale immagine sia falsa o almeno parziale, a un certo punto irrompe e dilaga come una massa d’acqua che si sia accumulata dietro una diga. Giovanni dovrà fare sempre di più i conti con il modo in cui gli altri lo percepiscono, sarà costretto a integrare faticosamente nella sua vita quelle rivelazioni inedite sul suo passato (e sul suo presente) che non riesce più ad arginare.
Da cinquantenne dei giorni nostri, l’io-narrante si chiede alla fine come si comporterebbe da precario e sottopagato, soprattutto se non avesse “motivo di provare gratitudine o ammirazione verso la generazione precedente.” In questi anni la tensione fra generazioni si percepisce. Ogni epoca ne ha vissuta una, ma attualmente secondo lei cosa contrappone padri e figli?
MM: Credo che a prima vista, ma solo a prima vista, i padri e i figli siano contrapposti dal fatto di non avere sufficienti motivi di contrapposizione. Gli ultimi trent’anni hanno creato un calderone che ha azzerato le generazioni, è come se vivessimo in un’età unica che va dai tredici agli ottant’anni. Questo almeno ci dice la propaganda. Chi è biologicamente giovane però intuisce spesso la fregatura, e questa è una fortuna. La contrapposizione profonda sta nel fatto che la risorsa della gioventù, in una società di vecchi, è blandita e vampirizzata, oppure sfruttata e asservita. Corpi giovani afferrati da mani vecchie, questa l’immagine che ho davanti agli occhi. Chi è giovane (biologicamente, lo ripeto) si difende come può. I giovani nelle società opulente sono in minoranza numerica come mai prima nella storia. La risposta dei giovani tocca tanti registri: l’opportunismo, la ribellione, il cinismo, l’invecchiamento precoce, la menzogna, la difesa stregua dei propri spazi.
La trama de La ricchezza si dipana attraverso la memoria, ma anche attraverso i luoghi: Milano, Roma, Monaco, gli stessi dove lei è nato, è cresciuto, si è trasferito. Cosa la lega a queste tre città?
MM: Per me Milano è ancestrale, Roma è matrigna, Monaco è identitaria. Mi sono riavvicinato a Milano, città in cui sono nato e ho trascorso gli anni della prima infanzia, grazie al fatto che la mia casa editrice ha lì la sua redazione, ed è stata una bella sorpresa. A Roma torno sempre con la fatica che si prova quando si va da un vecchio amico ricoverato in ospedale. Monaco ormai è casa mia, qui c’è la più alta concentrazione di persone in qualche modo simili a me, le mie nevrosi sono quasi la normalità, so esattamente che intonazione usare quando ordino un caffè.
Lei vive in Germania da ormai ventiquattro anni. Spostarsi all’estero è il presente di molte persone. Come immagina il futuro?
MM: Credo che la prospettiva più idonea all’uomo sia pur sempre quella di vivere nel luogo in cui ha fondato i suoi affetti primari. Sradicarsi o essere sradicati dal luogo in cui si è cresciuti è sempre un trauma, un trauma la cui elaborazione può avere esiti molto belli, intendiamoci. Detto questo, credo che l’evento fondamentale dell’epoca in cui viviamo sia l’esodo, e che con questo dovremo fare sempre di più i conti. Non mi riferisco solo alle masse spinte a emigrare dal bisogno, ma anche a quelle spinte semplicemente da un sogno. Sogno o bisogno, il senso di essere partecipi di un esodo generalizzato oggi può avere un effetto consolante: è destino comune, è già mezzo gaudio.
La ricchezza
di Marco Montemarano
Neri Pozza Editore
La foto dell’autore è di Marco Cantagallo