Un posto anche per me art

Un posto anche per me

Un posto anche per me artL’alba sta arrivando. La nottata di lavoro è finita. E come ogni mattina penso se sia giusto morire qua o vivere da un’altra parte.” E’ questa la domanda che riecheggia tra le pagine di Un posto anche per me, l’ultimo romanzo di Francesco Abate edito da Einaudi. Parole semplici, ma capaci di dare voce a un’anima straziata, ben nascosta in un corpo strabordante. Come quella del protagonista Peppino, troppo tonto per essere preso in considerazione, troppo grasso per non essere notato.

Da anni fa consegne a domicilio girando per le vie di Roma con gli “auti”. Giù dal 44 o correndo per prendere il 116, ogni giorno, la storia è sempre la stessa: “Dajeeee. ‘Nnamooo. Spostate!”
In una città che accoglie e respinge, Peppino per molti è “un altro sfigato che chi sa dove se ne va tutto solo a quest’ora”. Si incontrano spesso sugli autobus, quelli come lui. Parlano da soli, ed etichettarli come strani fa sentire più normali.
Con scrittura misurata, che si tiene sempre lontana dal pietismo e dal grottesco, Abate rende a poco a poco il lettore confidente di questa “creatura elementare”. Ne svela il passato tortuoso, i segreti profondi ma pronti a riemergere. Peppino viaggia coi suoi ricordi, fino a quando, un giorno, a una fermata, immagina un posto che non sia per forza sull’autobus. “Un posto anche per me.”

Abate Francesco artChi è Peppino, l’uomo con la faccia da ragazzo che viaggia sugli autobus di Roma con “un abito preso al supermercato, nel corridoio prima dei surgelati”?
FA: Peppino è un disorientato, dentro e fuori. È il compagno di scuola che abbiamo lapidato perché troppo in tutto: troppo lentezza di ragionamento, troppa ciccia, troppo fuori , troppo ingenuo, troppo accondiscendente. È il collega di lavoro che abbiamo messo in un angolo per le stesse ragioni, il parente che abbiamo abbandonato. Peppino è fatto di dolcezza, mansuetudine e semplicità, di pura bellezza. Ma è anche capace di rabbia incontrollabile, irrazionalità e a volte stupidaggine. Peppino è un povero Cristo.

Compagni di viaggio del protagonista sono i ricordi, che “stanno lì appostati, ma non puoi prevedere quando e perché torneranno a morderti.” Che segni ha lasciato su di lui il passato?
FA: Peppino vive nel passato perché solo nei tempi che sono andati riesce a trovare una dimensione. È emblematica la frase che pronuncia: La vita la comprendi solo se la osservi da fuori. Da dentro è tutto più difficile. Vero, Marisa? La vita la capisci meglio quando è passata. Mentre ci sei in mezzo, non ci riesci quasi mai. Io la mia vita la capisco quando ripenso a me stesso bambino. E mi rivedo come se fossi un altro che non sono più. Il passato da una parte lo tranquillizza, dall’altra rappresenta i grandi errori che da ragazzo Peppino involontariamente ha commesso e che incombono come una sentenza di condanna a vita.

Di quel ragazzo sempre sull’autobus tutti pensano che sia “picchiatello” perché parla da solo. Lui però dialoga idealmente con Marisa. Chi è?
FA: Marisa è specchio di Peppino. Stesse radici: una famiglia disgraziata incapace di amare una bambina nata malata. Stessa cammino: l’abbandono in un casa famiglia. Diversa reazione: fragile nel fisico, Marisa è una roccia. Diventa dunque il coraggio che manca a Peppino, la forza che non è in lui, la sfrontatezza, la riflessione più profonda. Marisa è l’amore capace di colmare ogni pena.

All’ennesima fermata, Peppino racconta: “Quando sono sceso dal 19 ho pensato che forse un po’ di serenità…magari anch’io…” Comincia a immaginare “un posto anche per me” che non sia solo sull’autobus?
FA: Il suo è un percorso verso la non rassegnazione, la rinascita rispetto a una sorte decisa da altri. Un cammino lungo che lo porterà a capire che la felicità non passa per la condiscendenza anche se per tutta la vita si è lasciato travolgere da questa convinzione. Peppino alla fine scoprirà che ciò che cerca non è un posto geografico ma una condizione dell’anima che riuscirà a raggiungere attraverso una terribile via crucis, a cui seguirà il patibolo e l’attesa resurrezione.

Il suo romanzo si apre con una citazione tratta da L’idiota di Dostoevskij: “La compassione è la più importante e forse l’unica legge di vita di tutta l’umanità.”  Pagina dopo pagina, se ne avverte in effetti il bisogno impellente, come fosse aria. Senza compassione non siamo uomini e non c’è vita?
FA: Quella della compassione è una strada complessa ma che vale la pena intraprendere. È propria dei grandi che perseguono non la via della commiserazione ma della compenetrazione nei sentimenti dell’altro: le paure, i dolori, gli errori e certo anche le gioie. Posso solo dire che senza il tentativo di provare ad essere compassionevole non mi sentirei uomo e vivrei con troppe insoddisfazioni. Mi ha colpito una frase carpita sul web di Tara Ghandi: “La verità, l’audacia e la compassione saranno sempre rilevanti, e oggi ne abbiamo disperatamente bisogno”.

Un posto anche per me
di Francesco Abate
Edizioni Einaudi

La foto dell’autore è di Daniela Zedda

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