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Dentro

Dentro artChissà se nella vita avremmo potuto essere anche un’altra cosa.” Bastano queste parole a fare di Dentro, brillante esordio letterario di Sandro Bonvissuto pubblicato da Einaudi, un libro nostro, perché ognuno di noi se l’è chiesto, almeno una volta.
E’ dentro il protagonista da adulto, finito in carcere, senza spazio neanche per poter guardare, dove esiste solo il nulla, come il muro davanti, che “non è una cosa che fa male; è un’idea che fa male. Ti distrugge senza nemmeno sfiorarti.”

Fin dalle prime pagine si percepisce che il meccanismo tra spazio e tempo è inceppato: dentro c’è tanto tempo ma poco spazio, fuori tanto spazio ma poco tempo. L’autore, come un meccanico dell’esistenza, sblocca l’ingranaggio con notevole abilità riportandolo indietro, all’adolescenza, ma ancora dentro, questa volta in una classe di liceo.
E’ allora che avremmo ancora potuto essere diversi? “Vengo da studi filosofici – spiega Bonvissuto – sono un heideggeriano, per me è il tempo il vero protagonista.”
Ancora indietro, quindi. In una giornata estiva di sole accecante, un bambino cerca di andare per la prima volta in bicicletta. Tempo e luoghi si confondono. “La vita era come i sogni: nitida e incredibile.”
Siamo ancora la stessa persona?

Bonvissuto Sandro 1 artDentro si articola in tre parti, nelle quali viene ripercorsa a ritroso la vita di un uomo. Nella prima, un adulto rinchiuso in un carcere, ha davanti a sé solo muri, che impediscono di muoversi, perfino di guardare. L’unica dimensione che non ha limiti è il tempo. E’ questa la condizione dell’uomo?
SB: Noi abbiamo una grande disponibilità di spazio, ma non di tempo. Di spazio ne abbiamo quanto vogliamo, possiamo andare dove vogliamo o pensiamo di poterlo fare, però siamo condizionati dal tempo. Se voglio andare a trovare qualcuno, guardo l’orologio e mi chiedo: “Faccio in tempo?” In carcere succede il contrario. Fuori di spazio ne avevi tanto e dentro ne hai poco, soltanto per due. Hai invece un’abbondanza di tempo, che è una cosa correlata alla detenzione. L’impatto psicologico è proprio questo. Non si discute sul fatto che se uno ha sbagliato verso la società in cui vive debba pagare, è giusto che sia così. E’ un’invenzione radicale che coinvolge la relazione dell’uomo nell’ambiente in cui vive, ma questo porta uno sbilanciamento grave, al limite della patologia. E’ per questo che tanti detenuti vengono assistiti, sedati o assumono terapie a base di psicofarmaci, perché agisce nel tempo come una tortura.
Ho parlato con degli operatori carcerari, e mi hanno detto che una volta liberati, i detenuti non sanno più camminare nello spazio aperto, rimangono attaccati al muro come lucertole. Manifestano una nuova patologia dovuta alla nuova dimensione che ripristina lo status quo. Va bene pagare, ma la tortura è un’altra cosa.
Nel libro comunque, protagonista è il tempo, anche se con modalità differenti, perché a volte è una controfigura. Il tempo c’è sempre, in tutti e tre gli episodi. Lo definisco un libro heideggeriano – io vengo da studi di filosofia – ma senza avere presunzioni filosofiche. E’ solo un lavoro narrativo che accosta le modalità dell’essere a questo fluire, direi un’ossessione narrativa.

Ai tempi del liceo, il protagonista crea con il suo compagno di banco uno di quei connubi che nell’adolescenza sembrano indissolubili. Torna il tema dello spazio, la classe, e del tempo, “che sarebbe durato cinque anni, non cinque minuti.” Alla fine piomba una riflessione: “Chissà se nella vita avremmo potuto essere anche un’altra cosa.” Che cosa?
SB: Come nel primo episodio, anche nel secondo, il contesto tende a dominare l’uomo, a schiacciarlo. La struttura scolastica, nella percezione dei due protagonisti, alla loro età, è più ossessiva di quella carceraria.
Chissà se avremmo potuto essere anche un’altra cosa è un passaggio che amo tantissimo, perché fondamentalmente sono un darwiniano, convinto. Credo che nella vita il contesto possa condizionare l’uomo molto più del contrario. La relazione con il mondo è inevitabile, quindi la risposta alla domanda è sì, nella vita avremmo potuto essere anche un’altra cosa, perché in altre condizioni si sarebbe arrivati a un’altra manifestazione dell’essere. Dipende dal contesto nel quale vivi, che crea una pedagogia del tutto.
Il modo, il posto, le condizioni, le circostanze nelle quali si spende il tempo nella vita, creano secondo me l’etica del libro. Se di vita ne hai una, devi vivere ogni giornata come se fosse l’ultima, ecco perché uno dei due protagonisti si chiede quanto sono importanti il modo e il posto in cui vivi. Entrambi si determinano così, che è una determinazione di vita definitiva. In altre circostanze il loro incontro non sarebbe stato la stessa cosa, senza invalidare l’altro, però.
Dentro è un libro fatto di percezioni, è una coscienza che parla. Nel primo episodio, quando il personaggio si trova davanti al muro, dice ciò che lui pensa in quel momento. E’ chiaro che per un’altra persona, davanti a un altro muro, sarebbe tutto diverso. La realtà è disgregata da ogni percezione e la percezione è singolare.
Lui parla in prima persona, e il paradosso letterario è che pur parlando di sé, l’io narrante parla se non di te, almeno a te. Le cose che dice, così personali, così specifiche, così strette in un’ottica di percezione singolare, diventano il cammino verso una condizione universale.
Chi legge può dire “E’ successo anche a me”, eppure ha parlato di sé, non di te. E’ questa la magia della scrittura, si muove su più livelli di indagine, speculativi. La narrazione è circostanziata, ma le parole hanno un messaggio subliminale, perché nel momento in cui leggi non attivi solo la lettura di quelle parole, ma anche quella del tuo passato. Magari a te è successa la stessa cosa, non negli stessi termini, chiaramente, tuttavia cominci un dialogo tra le tue cose e quelle scritte. La narrazione ha una funzione icastica, mette in moto un’introspezione.
Nella vita avremmo potuto essere anche un’altra cosa perché la storia non è mai uguale, e questo è il valore e l’unicità della vita.

La parte finale parla dell’infanzia, non definibile dalle coordinate dello spazio e del tempo, perché “non esistono bambini fermi”, e “lo sanno tutti che bambini e orologi sono due cose incompatibili.” Il protagonista dice infine che “ l’infanzia è davvero l’unico momento nel quale siamo stati un altro.”
Quindi nella vita più che continuità c’è una frattura?
SB: Nell’ultimo passaggio si cresce tutto insieme, in un’ora. Lì l’autore calca un po’ la mano!
Vedo continuità in ambiti dove la coscienza mantiene una facoltà, nella percezione, univoca. E questo avviene sempre, tranne nell’infanzia, perché fattori fisiologici fanno di te un’altra persona.
Nell’infanzia sei fisicamente e neurologicamente diverso. Le percezioni infantili, in una coscienza completamente destrutturata, in un corpo piccolo, in un’identità che è priva di qualsiasi sovrastruttura, hanno un impatto diverso. L’altro giorno, camminando, ho trovato un passerotto morto sulla strada. Inutile dire che la stessa cosa, quando mi è successa da bambino, non ha avuto lo stesso impatto emotivo, perché lo sforzo educativo al quale mi sono consegnato ha inquadrato tutto in una logica evolutiva. Quel bambino, che ero io, non sono più io. E’ una tesi difficilmente dimostrabile scientificamente, almeno relativamente a quell’età. Per quanto riguarda la vecchiaia non lo so. Ve lo dirò…
Quelle immagini infantili, quella forza, hanno acquisito una tale distanza che le vedo di un altro. Rientrano nella logica della metamorfosi, alla quale vengono sottoposte molte creature dell’universo. Quella è un’età dell’oro, un momento unico, nel quale la percezione del mondo ci condiziona per tutta la vita. Poi si amministra il percepito, e quella è l’età dell’anarchia, in cui ci si struttura, e bisogna essere fortunati, perché dove si cresce e dove si è bambini è fondamentale. E’ un serbatoio di vita, l’inizio di un dialogo interiore che continua anche da adulti, ma bisogna avere qualcosa con cui confrontarsi, altrimenti si avrà sempre una percezione parziale, e allora come fa l’individuo a sviluppare una percezione dinamica del mondo?
Penso sia forse una questione più di quantità che di qualità. Nel libro, per quel bambino di cinque o sei anni davanti a una bicicletta, è un pomeriggio come tanti altri. Ma qualche ora diventa un mondo emotivo, e lui impara l’equilibrio.

Dentro
di Sandro Bonvissuto
Edizioni Einaudi

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