Il long playing sul piatto, il fruscìo della puntina sul disco. E’ la colonna sonora di chi è cresciuto tra yuppies e Spandau Ballet quella che echeggia nelle pagine di Sette volte solo di Fabio Clemente, Edizioni Ensemble. Immancabile il primo amore, scoppiato tra il protagonista e Valentina nelle aule del liceo romano Giulio Cesare, e vissuto parallelamente a quello del migliore amico Rossano con Claudia, la sorella di Valentina.
Ardori sepolti dalle ceneri del tempo: “Ormai gli anni ’80 erano finiti e ognuno si era perso dentro i fatti suoi.” Solo che quando il vento della vita torna a soffiare su quelle braci, è capace di scatenare un incendio incontenibile. Specialmente se si abbatte su una generazione che dopo il crollo del muro di Berlino si è trovata con le macerie tra le mani, passata dal sogno di piazza Tien An Men a un incubo, erede della precarietà in ogni campo, anche affettivo.
Cosa succede allora, dopo vent’anni, quando il protagonista e Valentina si rincontrano non una, ma ben sette volte? Sarà il riaccendersi di una passione, una fuga nel passato, una pericolosa ossessione o magari l’occasione per una vendetta tra due ragazzi mai cresciuti? Pagina dopo pagina, Clemente, nel suo ultimo romanzo, getta colpi di noir e di rosa su una generazione, quella dei quarantenni, pericolosamente in bilico.
“Credi di avere tu il controllo e invece la vita sa fare le capriole meglio di te.”
Un amore ai tempi del liceo con Valentina, “di una bellezza inaccessibile e anche rischiosamente intelligente”, destinato a riaccendersi a distanza di più di vent’anni. Che sia sentimento o ossessione, segna profondamente la vita del protagonista di Sette volte solo. Di lui però, fino alla fine del libro non si sa nemmeno il nome. Che persona è?
Ho scelto di non dare un nome al protagonista del romanzo perché secondo me è più un simbolo di una generazione che semplicemente un uomo. La generazione degli anni 80, in bilico tra yuppismo, cascami degli anni 70 e incapacità di crescere. E’ un uomo complesso, ferito e diventato cinico ma con una possibilità di riscatto. Cambiare è l’unica ricetta per vivere degnamente.
Ormai quarantenne, il protagonista pensa che “il passato è l’unico modo di sopravvivere a un presente asfissiante.” Valentina, dal canto suo, cerca una propria dimensione nella new age, sostenendo che in realtà si è invisibili, perché “gli altri ci percepiscono come assenza.” Sono, ognuno a modo proprio, l’emblema di una generazione incapace di vivere la vita qui e ora?
Credo sia un romanzo sull’inadeguatezze di una generazione ma, azzardo, di tutti i protagonisti del nostro tempo. Alla deriva da ideali, sentimenti e pulizia interiore. Vecchi “dentro” e un po’ immeschiniti dalla vita. Con la voglia di un riscatto che, se proveranno a cambiare rotta, arriverà. E li ritroverà migliori. E’ la sfida ultima per diventare adulti.
Spesso nel suo romanzo, rimandata più volte, torna l’idea di una rimpatriata tra ex-compagni di liceo. Ritrovarsi dopo oltre vent’anni lascia in bocca più il dolce del passato o l’amaro del presente?
Si auspica per una dolcezza consolante. Ma poi, e di rimpatriate ne ho fatte nella vita, l’amarezza può diventare il piatto forte della serata. Consiglio Facebook, postare e scrivere in breve mantiene una distanza rassicurante e molto meno impegnativa. L’amicizia vera è un’altra cosa e gli amici che rimangono con noi non sempre ce li portiamo appresso dal liceo.
Lei scrive che con l’avvento del nuovo millennio “in fondo parlare di lavoro, precariato e licenziamenti era talmente deprimente che si preferiva andare a mangiare una pizza o guardare un po’ di televisione. (…) Con la considerazione che è tutto uguale e io come singolo non posso farci proprio niente”. Pensa che a forza di girarsi dall’altra parte il presente ci abbia colti impreparati?
Totalmente. E la politica è stato il primo banco di prova della nostra inadeguatezza all’interesse per la “cosa pubblica”. A via di coltivare il nostro orticello, non ci siamo accorti di quanto venivamo espropriati della nostra parte migliore. Abbiamo iniziato a girarci dall’altra parte proprio negli anni 80, sempre meno consapevolmente. Ma quelli che, troppo pochi per la verità, sapevano e volevano gestire le cose per noi sono stati essenzialmente più veloci. Il presente è un lampo.
Perché il titolo Sette volte solo?
Il protagonista da adolescente, chiede a Valentina di rimettersi insieme a lui sette volte. Riceve sette rifiuti. Vent’anni più tardi si ritrova coinvolto in uno strano menage a trois che ha, per motivi “cabalistici” nuovamente il sette come numero maestro. Il risultato però non cambia; si ritrova solo in entrambi i casi. Ma a volte la solitudine è lo spazio giusto per rimettersi in discussione e ricominciare da capo. Lo definirei un thriller dei sentimenti e gli assassini non spargono sangue ma ferite a lenta rimarginazione.
Sette volte solo
di Fabio Clemente
Edizioni Ensemble