Dove non mi hai portata

Dove non mi hai portata

Dove non mi hai portataCon la lucidità della prosa e l’afflato della poesia, nella sua ultima opera Dove non mi hai portata (Einaudi), Maria Grazia Calandrone percorre il sentiero tortuoso che divide passato e presente.
In un pomeriggio di giugno del 1965

una neonata viene abbandonata su una copertina tra l’erba di Villa Borghese. In una lettera d’addio i genitori, Lucia e Giuseppe, spiegano il loro gesto, dopodiché affidano alle acque del Tevere l’espiazione del loro sofferto destino. Nell’Italia del tempo non c’è posto per una coppia irregolare come loro, e i due sono infatti ricercati.            
L’autrice consegna al lettore questa vicenda drammaticamente intensa, così come più di cinquant’anni fa quella bambina è stata lasciata “alla compassione di tutti”. Il suo nome è Maria Grazia Calandrone e questa è la sua vera storia.      
Scrittrice, poetessa e giornalista, con la sua precedente opera Splendi come vita (Ponte alle Grazie 2021), Calandrone è entrata nella dozzina del Premio Strega. Dove non mi hai portata è candidato al Premio Strega 2023.

Maria Grazia Calandrone, cosa ha significato per lei la ricostruzione, inevitabilmente carica di sofferenza, della sua vicenda personale?            
MGC: Più che la mia vicenda, ho analizzato la storia di Lucia e Giuseppe, cioè quello che precede la mia vita e che ha originato la loro scelta. La scelta di Lucia e Giuseppe è stata finora solo un dato astratto, una notizia che avevo e che adesso, grazie alla ricostruzione compiuta, è diventata una scelta limpida e forse inevitabile. Ho provato dolore per loro, per il loro essere incastrati in un trauma sociale senza vie d’uscita.

L’accurata indagine storico-sociologica che fa da sfondo alla storia, l’ha aiutata a comprendere meglio?
MGC: Certamente sì. Nessun essere umano è una monade, siamo quello che siamo a causa del contesto culturale, sociale e politico nel quale viviamo, dunque indagare il tempo nel quale Lucia ha vissuto mi ha persuasa ancora di più del fatto che, più che un suicidio, quello dei miei genitori sia stato un omicidio sociale. Solo cinque anni dopo la legge sul divorzio avrebbe molto probabilmente salvato le loro vite (n.d.r. Lucia e Giuseppe erano entrambi sposati). Cinque anni sono un soffio. Eppure…

Come si riesce a superare un dolore così profondo, più con la razionalità o attraverso una forma di perdono interiore?         
MGC: Comprendendo le ragioni dell’altro. Credo non esista altra strada che questa, per trasformare quello che pare abbandono nel più doloroso gesto d’amore.

Sognando a occhi aperti, dove avrebbe voluto essere portata?
MGC: In un mondo più giusto e meno ipocrita, dove legge e non arrancano dietro le motivazioni umane ma, se possibile, le precedono, rendono le vite più vivibili, più serene, prendendo atto della realtà. Questo è il mondo per cui combatto ogni giorno, soprattutto diffondendo poesia nelle scuole, perché credo che la poesia sia la capacità di identificarsi con le profondità degli altri. Così diversi da noi, così uguali a noi.

Maria Grazia Calandrone è poetessa, scrittrice, giornalista, drammaturga, artista visiva, autrice e conduttrice per la Rai. Scrive per il «Corriere della Sera» e tiene laboratori di poesia nelle scuole e nelle carceri. Con i suoi di poesia ha vinto importanti premi. La sua ultima opera, Splendi come vita (Ponte alle Grazie 2021), è entrata nella dozzina del Premio Strega. Per Einaudi ha pubblicato Dove non mi hai portata (2022).

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