New York, gennaio 2006: il termometro segna 22 gradi centigradi. Poche settimane prima un temporale ha colpito la grande mela con un’esplosione di tuoni e lampi verdi durante una nevicata.
Non è il trailer di un film catastrofistico, ma quello che lo scrittore Colin Beavan vede nella propria città.
Ma alla catastrofe siamo ormai vicini, dicono molti scienziati: ‘Non possiamo continuare a vivere in questo modo, (…) il pianeta non può tollerarlo’.
E così Beavan esce dal coro di chi ritiene responsabili di tutto questo esclusivamente politici e multinazionali, e decide di fare qualcosa come singolo individuo.
Non avrà alcun tipo di impatto sull’ambiente, per un intero anno. Zero rifiuti nel terreno, zero inquinamento atmosferico, zero alimenti che contribuiscono allo sfruttamento della terra e zero elettricità.
In altre parole, girare con una tazza per poter bere,spostarsi solo a piedi o in bici, mangiare cibo cucinato personalmente e prodotto nelle vicinanze, eliminare la TV e usare un generatore solare.
Addio anche a pannolini e fazzoletti di carta, sostituiti entrambi da quelli di stoffa, per non avvolgere i bambini in una melassa petrolchimica e non soffiarsi il naso con un albero morto.
Colin Beavan racconta ora la sua incredibile esperienza in Un anno a impatto zero, pubblicato da Cairoeditore.
Signor Beavan, 22 gradi a gennaio, un temporale che colora il cielo di verde mentre nevica. Tutto questo l’ha ovviamente molto scossa.
Lei scrive: ‘Forse il mio problema non era la condizione del mondo. Il mio problema era il mio immobilismo. (…) Sono davvero impotente? E’ vero che uno come me non può fare nulla? O sono solo troppo pigro e spaventato?’.
Insomma, quanto il comportamento di un singolo individuo può incidere sulle sorti del nostro pianeta, per usare le sue parole, ‘tenendo pulito il proprio lato della strada’?
Nessuno di noi sa chi sarà il prossimo Martin Luther King, Betty Friedan o John Kennedy. In qualche modo, non erano speciali, ma sono stati, per come la penso io, la goccia che ha fatto traboccare il vaso.
La misura era cioè così colma, che è bastata una sola goccia in più per far avvenire il cambiamento.
Tutti ricordano i nomi di Luther King, Friedan e Kennedy, ma la verità è che prima c’erano state tante altre migliaia di gocce, e ognuna di loro ha fatto la differenza.
Il problema non è se una singola persona può fare la differenza, ma se la differenza di una persona può essere riconosciuta. A volte dobbiamo accettare che quello che facciamo non venga riconosciuto, ma questo non significa che non faccia la differenza.
Quanto invece, oltre ad un’azione individuale è necessario un intervento collettivo, come leggi mirate per l’ecologia? A questo proposito un ambientalista le ha detto che ora che abbiamo cambiato le lampadine dobbiamo cambiare i senatori …
Negli Stati Uniti c’è stato un dibattito all’interno del movimento ecologista, riguardo all’azione individuale e a quella collettiva. Ci si preoccupava del fatto che l’azione individuale potesse distrarre dall’azione collettiva, e che solo quest’ultima potesse portare al cambiamento di cui abbiamo bisogno.
Dall’altro lato, negli Usa i conservatori hanno criticato Al Gore proprio perché non dava abbastanza importanza all’azione del singolo.
E’ una discussione un po’ folle, perché ovviamente c’è bisogno di entrambe le cose, e quello che io auspico è una cittadinanza impegnata, cioè non una contrapposizione tra azione individuale e collettiva, ma il mettere i propri valori al centro della vita, e questo vuol dire anche condividere i propri valori con un gruppo, e fare pressione a livello politico.
Ad esempio, io faccio parte di un’associazione di New York che promuove l’uso della bicicletta, ma se girassi in SUV, forse non sarei tanto credibile. Voglio dire, devo intraprendere azioni individuali, se poi voglio essere credibile a livello collettivo.
C’è un altro aspetto importante. Il tipo di cambiamento di cui abbiamo bisogno per affrontare con successo i problemi climatici, è talmente grande, che non può venire solo dalle leggi, deve essere anche culturale, e questo avviene a livello individuale, per poi diffondersi.
Insomma, c’è bisogno di entrambi.
Calotte polari che si sciolgono, orsi bianchi che annegano o che a causa della fame mangiano i cuccioli di altri orsi, un pianeta che sta esaurendo le proprie risorse e boccheggia a causa dell’eccesso di anidride carbonica. Come le ha detto sempre un ambientalista, ‘siamo bravi a spaventare la gente, ma ancora non abbiamo imparato a dir loro cosa fare’.
Perché se la diagnosi è chiara, non conosciamo ancora la terapia?
Alcuni problemi sono capillari, cioè non localizzati in un singolo punto, ed è per questo che abbiamo bisogno di soluzioni capillari. Per la stessa ragione anche chi cerca di risolvere i problemi deve essere capillare.
Perché questo sia possibile è necessario che le persone siano coscienti, non solo nella propria vita privata, ma anche in quella professionale.
Molti di noi pensano che i nostri ideali vadano lasciati a casa, e che poi al lavoro si prendano decisioni che riguardano solo il lavoro. Recentemente parlavo a un gruppo di managers, e ho chiesto loro di immaginarsi di essere i re del mondo. Poi ho aggiunto che l’anno successivo avrebbero potuto scegliere tra avere un telefono cellulare migliore di quest’anno, oppure ottenere un cambiamento significativo per quanto riguarda il problema dell’acqua potabile. Non dimentichiamo che c’è ancora un miliardo di persone che non ha accesso all’acqua potabile.
Beh, alla domanda chi di voi sceglie un cellulare migliore, nessuno ha alzato la mano. Tutti l’hanno invece alzata per l’acqua potabile. Il problema è che tutti dicono di volere l’acqua potabile, ma in realtà quello che avremo è un nuovo cellulare.
Dobbiamo cominciare ad agire secondo i nostri valori, il nostro cuore. Forse c’è stato un tempo in cui ascoltavamo più la nostra testa, ma le cose sono cambiate, e penso che adesso dovremmo ascoltare di più il nostro cuore.
Insomma, non c’è una sola soluzione o un solo risolutore, e tutti dobbiamo essere partecipi. Tutti siamo risolutori, e tutti re della situazione. Non siamo più vittime del sistema, ma i suoi fautori, e in tutto questo c’è una componente di gioia, di aspirazione, di ambizione.
E’ un qualcosa in più, non comporta privazioni, ma arricchimento.
A livello globale, quali sono i cambiamenti indispensabili per la salute del nostro pianeta?
Dobbiamo smetterla di bruciare carbone. Uno dei più importanti climatologi degli Stati Uniti, James Hansen, sostiene che il petrolio si esaurirà in 50 anni, cosa di cui siamo così preoccupati, ma che il carbone durerà per altri 300, 400, forse anche 500 anni.
Due anni fa ha detto che avremmo dovuto smettere entro 10 anni. E’ una grande sfida, ma dobbiamo arrivare ad azzerare le emissioni derivanti dalla combustione del carbone.
Per far questo è necessario aumentare il prezzo dei carburanti fossili, e diminuire il prezzo di quelli rinnovabili. Si potrebbe pensare a una tassazione degli uni per investire negli altri ed abbassarne così il prezzo. Il problema dei carburanti rinnovabili e in generale dell’energia rinnovabile, al momento, è infatti l’elevato costo. Bisogna invertire la tendenza, cosicchè il mercato scelga carburanti rinnovabili, anziché fossili. Questo è il punto di partenza.
E come singoli individui?
Penso che dovremmo chiederci se stiamo vivendo la vita che vorremmo veramente vivere. Può suonare radicale, ma abbiamo problemi radicali, quindi abbiamo bisogno di soluzioni radicali.
Se lavoriamo sempre di più, per comprare sempre di più, e ritrovarci poi sempre più infelici, è arrivato il momento di riconcepire le nostre vite.
Quello di cui abbiamo bisogno, nella nostra vita, sono più relazioni, che non costano denaro.
Spesso, se non abbiamo relazioni è perché non abbiamo tempo, e questo succede perché lavoriamo e lavoriamo, per poi comprare e comprare.
La domanda è: quanto costa una buona vita?
Come ho detto, secondo me dobbiamo cambiare le nostre vite, in modo che siano in linea coi nostri valori.
Lei scrive che dagli anni ’50 a oggi, il PIL degli Stati Uniti è cresciuto del 550%, ma che il livello di felicità è rimasto pressoché lo stesso. Eppure alla maggior parte di noi è ormai passato il messaggio che se nella vita c’è qualcosa che non va, se non stiamo bene, comprando qualcosa si sistemerà tutto.
La scienza dice che se compriamo qualcosa proviamo un senso di piacere, dovuto al rilascio di endorfine nel cervello. E’ una sensazione che dura però intorno ai 15 minuti. Possiamo essere felici magari anche per un giorno, ma poi, se vogliamo ancora provare quella sensazione, dobbiamo comprare qualcos’altro. E’ come per l’alcol o per la droga. Ovviamente non risolve il problema, non è una soddisfazione duratura.
Nel cervello esiste un’altra sostanza, la dopamina, che agisce più a lungo, e volendo tracciare un grafico, si noterebbe una linea più regolare, rispetto a quella delle endorfine.
Quella che viene definita la nuova scienza della felicità, parla di vivere una vita in linea coi propri valori, fare un lavoro che abbia un reale significato, usare le proprie abilità e i propri talenti,avere relazioni sociali strette e significative con le persone che amiamo.
E’ curioso, perché niente di tutto questo prevede l’uso di denaro, ed è per questo che io penso che se lavoriamo per un pianeta più felice, saremo persone più felici.
La politica economica del pianeta ruota intorno al fatto di far comprare di più, ma se vogliamo che le persone siano più felici, le politiche economiche e sociali dovrebbero chiedersi come rafforzare le relazioni tra le persone, come far loro usare abilità e talenti, come investire nell’arte e nell’istruzione.
Queste sono le cose che rendono le persone più felici, e non costano così tanto.
Lei ha definito sua moglie Michelle ‘una specie di Carrie Bradshaw di Sex and the City’. Eppure, per seguirla nel suo progetto, è vissuta per un anno intero senza auto, senza shopping, senza caffè da Starbucks. Michelle deve amarla davvero molto …
Perché, lei non farebbe altrettanto?
Scherzi a parte, il problema non è privarci di qualcosa, non ritenere buono ciò che abbiamo o non poterlo apprezzare, è che ormai abbiamo superato il limite. Come per la cioccolata, se ne mangiamo un po’è deliziosa, ma se la mangiamo tutto il giorno, non è più così, e lo stesso si può dire per il materialismo, e Michelle sarebbe la prima a dirlo.
Quando abbiamo cominciato il progetto Un anno a impatto zero, avevo un piano molto preciso sul da farsi. Michelle ha deciso di non fare più shopping a partire dal primo giorno e di eliminare la TV, questo perché pensava di essere diventata dipendente da entrambe le cose.
Guarda caso sono le due attività preferite dagli americani.
Michelle ha capito che le due cose più importanti per lei, non le facevano bene, ma non perché lei non possa avere qualcosa di carino o guardare la TV,ma perché la cosa ormai sfuggiva al controllo.
Durante l’anno del progetto a impatto zero, ci sono stati momenti piuttosto difficili, ma adesso mia moglie pensa che quel che fa non è più solo per il nostro pianeta, ma per la nostra famiglia.
Non sto dicendo che adesso non si compra più niente di nuovo o che non guarda più la TV, ma che abbiamo ristabilito un equilibrio.
A volte le persone sostengono che quello che dico è sbagliato, perché nessuno vuole di meno, tutti vogliono di più, e lo penso anch’io, ma mi chiedo, più di cosa?
Un anno a impatto zero, di Colin Beavan
Cairoeditore, pagine 285, Euro 14,50
Si ringrazia la Cairoeditore per l’immagine di copertina
Foto dell’autore: © CyberStern.com