Leonardo Luccone torna in libreria con Il figlio delle sorelle (Ponte alle Grazie), romanzo appassionato e sofferto sulla difficoltà di ricostruire il passato, le sue ossessioni, le sue svolte.
La voce narrante, – che rimane senza nome fino all’ultima pagina -, è un uomo che cerca di riallacciare il filo della memoria e riordinare il tempo di ieri nel cassetto dell’oggi. “Per prendersi cura di qualcuno bisogna raccontare la sua storia – scrive l’autore -, anche solo un pezzettino. Molti credono che le storie debbano essere dette dall’inizio alla fine, in bella copia, nel modo più preciso possibile.” Con queste parole suggella così con il lettore il patto di ricostruzione di una verità sfuggente e spigolosa. Sarà un viaggio alla ricerca di sé stesso, di un uomo che si confronta con l’essere padre, attraverso i meandri oscuri della propria mente.
L’ambientazione è quella di una Roma discreta, appena accennata: il Pantheon, l’EUR, la Garbatella, e poi da via Nazionale a via de’ Serpenti fino all’incrocio con via Panisperna. Tra quelle vie, negli anni Novanta, il protagonista e sua moglie Rachele sognano di avere un figlio. Dopo tanti tentativi nasce Sabrina, voluta più che altro da lei, mentre lui asseconda un desiderio viscerale di maternità. È proprio allora però che la mente del neo-padre vacilla e si attorciglia su sé stessa.
Quindici anni dopo, ormai adolescente, Sabrina chiederà al padre: “Mi dici qualcosa di come eravamo noi tre quando ero piccola? Mamma non mi racconta mai niente. Dice che non si ricorda. Pure nonna dice che non si ricorda”. Per l’uomo arriva, inesorabile, il momento di rimarginare passato e presente, ma anche le ferite che hanno lasciato il suo rifiuto di essere padre. Bisogna spiegare, capire, e Sabrina e il padre lo fanno nella “stanza delle parole”, dove lentamente rinascono a nuova vita. “Il tempo si ripiega dentro di me, – riflette il protagonista -, mentre le onde della sofferenza si sparpagliano indisturbate, la memoria avvelenata agogna un passato di comodo.” Ma, spietato, è invece arrivato il tempo della verità e dell’oggi.
Nel flusso inarrestabile di coscienza abitano molte figure femminili, distanti e inafferrabili: l’ex moglie Rachele, ferita per aver dovuto crescere la figlia da sola, la nuova compagna Gilda, e poi Corinna, Silvia, Rebecca, voci che da tanti anni aspettano risposte. Voci, come quelle che risuonano nella testa del protagonista, che rimbombano, si sovrappongono: “Nella testa hai solo sbucciature. Nella testa hai solo trucidature. Nella testa hai solo mancature. Solo troncature.”
Lo stile di Luccone è capace di svelare i pensieri più profondi, di interpretare i silenzi, di fermarsi sull’orlo dell’indicibile. Sa raccontare la difficoltà di essere famiglia, la paura di essere genitori, il bisogno di essere figli, senza fare sconti. Sa, anche, mischiare ruvidità e tenerezza, proprio come la vita.
Il figlio delle sorelle è la sceneggiatura di un’esistenza intensa, il palcoscenico di attori potenti, una colonna sonora scandita dai ritmi del sentimento. Personaggi, ruoli, responsabilità, tutto si intreccia in questa narrazione, dove ci si perde e ci si ritrova, e si fugge per ritornare. “Dove si torna quando non c’è più né infanzia né casa, quando non ci sono più le persone? Abbiamo bisogno di un posto dove concentrare qualcosa.”
Quel posto a volte è tra le pagine di un libro, aggrappati a parole che tengono a bada il tormento e sanno districare il groviglio dei pensieri più intimi. È allora che la prosa non è più vicenda del singolo ma esperienza di vita, esercizio di equilibrio sull’orlo del mondo.
Il figlio delle sorelle
di Leonardo G. Luccone
Ponte alle Grazie
Leonardo G. Luccone vive e lavora a Roma. Ha pubblicato Questione di virgole (Laterza, 2018, premio Giancarlo Dosi per la divulgazione scientifica) e, con Ponte alle Grazie, i romanzi La casa mangia le parole (2019) e Il figlio delle sorelle (2022). Scrive su «la Repubblica» e «Rivista Studio».