Bugie di famiglia di Nella Frezza (Salani Editore) è uno di quei rari romanzi capaci di unire una narrazione appassionante a uno sfondo storico e sociale dettagliato.
Il risultato è la storia di una famiglia, sofferta e movimentata, che si fa il racconto di un Paese alle prese con un nuovo capitolo della propria storia.
Antonio è un giovane medico che alla fine degli anni ’60 sta avviando a Roma una brillante carriera, assieme al progetto di vita con Eleonora. Il loro equilibrio viene però sconvolto da un segreto inconfessabile che il padre di Antonio rivela al figlio sul letto di morte. Nessuno dovrà sapere quella verità sconcertante, di cui gli unici depositari diventano Antonio ed Eleonora.
Le bugie sembrano l’unica arma per difendere l’onore della loro famiglia, la rispettabilità, ma torneranno a galla, ed esigeranno spiegazioni. Intanto l’Italia affronta nuove sfide, come le lotte per i diritti civili, il divorzio e l’aborto.
Con scrittura incisiva, Nella Frezza sonda il luogo delle relazioni per eccellenza, la famiglia, addentrandosi negli anfratti che da rifugio ne possono fare una prigione. L’autrice sa leggere la realtà alla luce dei cambiamenti di una società in via di trasformazione, assieme ai suoi tabù e ai suoi valori, restituendo un racconto nitido ed emozionante.
Nella Frezza, Bugie di famiglia ha il sapore di un frutto maturo. Com’è arrivata a coglierlo?
NF: Bella espressione “un frutto maturo”. Nel mio caso a lunga maturazione e fatto uscire ad un’età matura. Con uno sguardo a posteriori, le ragioni però sono anche per me un riepilogo approssimativo.
La famiglia, con le varie vicende, il lavoro, e la scuola, se per essa hai scelto di lasciare un impiego pubblico meglio retribuito, ti assorbono (n.d.r. l’autrice era un’insegnante elementare). Ma simultaneamente ti assorbe anche la personale necessità di partecipare, di prendere posizione su quello che ti succede intorno, di informarti, e quindi “leggere”, non solo libri, per diletto, ma la realtà, con la mediazione di quotidiani e settimanali (contesti magari qualche opinione, ma ragioni sull’argomento). E le 24 ore sono bell’e passate. C’è anche da considerare che, pur essendomi sposata presto e aver allevato i figli (con tutto il tempo e il lavoro e le ansie che questo comporta) sono stata giovane in anni cruciali per il nostro paese – nel romanzo vi si accenna – e anche per paesi lontani. Ricordo la corsa che feci, nel settembre del ’73, per non mancare alla manifestazione dopo il golpe del Cile, e, bicicletta alla mano, unirmi al coro di tanti altri giovani: “De piè, cantar, che vamos a triunfar…Allende, Allende, il Cile non si arrende“.
Gli Inti Illimani erano in Italia in quel tragico frangente: per me sono rimasti un mito, e ho bisogno ancora di cantare la loro canzone.
“Da grande” (dovrei dire “matura”, ma credo di non esserlo mai davvero diventata e comunque la maturità è un traguardo, spero di avere ancora strada da percorrere) ho raccolto un po’ di appunti, riflessioni, inizi di storie che si erano disordinatamente accumulati negli anni e, senza sottrarmi alle incombenze familiari, ho constatato che quel materiale si veniva aggregando, Non saprei dire neanche io se intorno a un tema, a fatti in fondo comuni e senza tempo o territori specifici di riferimento. Nord, sud… è una latitudine che ci portiamo dentro, a seconda delle circostanze.
Non mi sono posta domande allora. So per certo, però, che nonostante le tante obbligate interruzioni, la storia che premeva per uscire ha preso forma. I protagonisti, man mano che entrano in scena, sono persone, con le loro storie, le loro contraddizioni, le ambiguità, le loro incoerenze. VIVONO.
Come sono arrivata a coglierlo, questo frutto maturo?
Forse quando ho capito che non dovevo rimandare oltre, che poteva incontrare l’interesse di un po’ di lettori, e, non ultima cosa, quando, casualmente, ho avuto la fortuna di sottoporlo per una valutazione a un agente che sa fare bene il suo lavoro, il quale, con mia soddisfazione, lo ha proposto a un editore che, in quanto a “maturità”, con i suoi 160 anni sulle spalle, non ha bisogno di aggettivi qualificanti, proposto tramite un editor del quale è notissima la passione, oltre, ovviamente, che la competenza.
Il suo è un romanzo su ciò che non si deve dire al fine di salvare le apparenze. Anche ai nostri giorni però l’immagine che si dà di sé è molto importante. Come si comporterebbero oggi Antonio ed Eleonora?
NF: Scientificamente pare che delle bugie non si possa fare a meno (se ne servono anche gli animali, a proposito della cui “psicologia” chissà quant’altro c’è da scoprire).
Difficile dire come si comporterebbero oggi Antonio ed Eleonora. I condizionamenti del contesto sociale, culturale, temporale in cui è ambientata la storia hanno determinato reazioni di “difesa” dal giudizio degli altri che man mano si sono rivelate sempre più invischianti e pericolose. Sviluppi e conflitti che Antonio non poteva prevedere e la cui evoluzione comunque è così umanamente coinvolgente, dolorosa, irreversibile, che forse chiunque avrebbe continuato a mentire.
Oggi moltissime persone, per ingenuità, leggerezza o frustrazione, del proprio privato non nascondono niente – o meglio esibiscono spesso un privato falso pur di sembrare, essere ammirati, sentirsi al centro dell’attenzione… Ma le motivazioni possono essere tante altre e le conoscete tutti meglio di me. Certamente ci saranno ragioni professionali, di necessaria collaborazione o piacevole condivisione in cui si è portati a svelare un poco della cosiddetta privacy.
La risposta a questa seconda domanda è in un certo senso implicita nella constatazione che anche oggi è molto importante l’immagine che si dà di sé. In ogni tempo, quindi, e in ogni contesto le persone sentono l’esigenza di conquistare e mantenere una buona reputazione, la considerazione degli altri, la rispettabilità, soprattutto di quelli che ci conoscono, e ci ri-conoscono, per tali condizioni positive. Ciò vale nelle piccole comunità dove si è maggiormente esposti all’attenzione di molti, ma anche nella grande città dove comunque si hanno ambienti di riferimento amicali, professionali, parentali, di studio o di genere diverso, e dove quindi si ripropone il bisogno di non scendere a gradi di considerazione inferiori a quelli che si sono nel tempo conquistati, spesso anche senza reale merito. Le cronache sono piene di “cadute nella polvere” di personaggi anche prestigiosi dei quali si vengono a sapere faccende scabrose o comunque riprovevoli, tenute nascoste per anni.
C’è una motivazione particolare per il suo interesse verso i segreti e le bugie?
NF: Come ho risposto sopra, credo che segreti e bugie siano la materia prima di ogni racconto.
All’interno della trama, Roma è una presenza discreta. Ce ne parla?
NF: Il romanzo, nelle versioni precedenti, era più esteso e questa bellissima città vi trovava un po’ più di spazio. Ma non si può consegnare al lettore un tomo troppo pesante: c’è il rischio che venga dissuaso o che si rallenti il ritmo della narrazione. Eleonora in Francia, nonostante la necessità di quella fuga, con Giovanni appena nato, è sconvolta all’idea che non torneranno a Roma. Perché Roma ti prende l’anima. Oggi abbiamo tanti problemi (rifiuti, ecc.) comuni purtroppo a molte grandi città, ma è comunque sempre la più bella e importante del mondo, è la storia. Immaginatevela come dovevano vederla i giovani studenti che ci arrivavano dalla provincia. Cercatela nei (per voi) vecchi film degli anni 60/70. Non solo imponente e protettiva, o alienante secondo gli intellettuali.
La nostalgia di Eleonora è per tutto quello che non si ritrova più intorno: “Le mancavano le strade note, i profili dei palazzi, i vicoli, le piazze, gli obelischi e le cupole; le mancava la gente, il vociare familiare, la confusione di fondo. E il silenzio delle basiliche. Roma le mancava, tutta intera. E tutti i loro problemi le parevano conciliabili col viverci. Si rivide una sera verso Ponte S. Angelo: stanca, distratta, camminava veloce lungo il parapetto guardando il fiume. Il tramonto vi colava riflessi di fuoco, come quasi in ogni stagione i tramonti a Roma. Scordatasi il motivo della fretta si era fermata, e si era sentita parte di una moltitudine immensa, che condivideva e avrebbe condiviso nel futuro la stessa emozione, come da sempre doveva essere avvenuto anche nel passato”.
Sto allungando, ma vi racconto solo questo, in romanesco: una signora chiede al pizzardone (il vigile) dove sono gli uffici del Comune. La risposta: “E ‘ndo stanno, signò? Da dumila anni e passa nun avemo mai cambiato sito: stamo sempre ar Campidojo”.
Con il suo esordio letterario, pensa di poter essere di ispirazione per altri scrittori?
NF: Credo che fonti dell’ispirazione siano troppe cose: forse la risposta è inclusa in quella alla prima domanda. Le letture, certamente, i luoghi, le vicende che ti scorrono intorno e si combinano col coacervo di esperienze, anche personali, che ti si sono accumulate dentro.
Certo, più lungo è il tempo di tali esperienze, di cui in un certo senso sei filtro, più materiale da cui trarre trame puoi avere a disposizione. Ma quello non è mai un materiale inerte, è vita.
Bugie di famiglia
di Nella Frezza
Salani Editore
Nella Frezza è nata nel 1942 e Bugie di famiglia è il suo romanzo d’esordio.
Vive tra Roma e Orvinio, il piccolo borgo montano della Sabina in cui è nata.
È laureata in Pedagogia. Ha insegnato per molti anni nella scuola elementare, in varie città italiane.