Buone Cause

Buone cause

Buone CauseNel suo ufficio alla ONG Children’s Foundation Marta osserva la sofferenza in formato 50×70: sono i poster di posti come Ruanda, Timor, Somalia, Bosnia, Afghanistan, Libia, Haiti e Siria.

Poi si destreggia tra individual donors, legacy fundraising e retention unit, perché oggi la raccolta fondi parla la lingua del marketing.             
Il suo stage di sei mesi la vede impegnata nel Direct Mailing. È lei a scrivere le lettere con cui l’associazione chiede le donazioni a sostegno dei progetti umanitari. Deve raccontare un mondo brutto e negletto, contrapposto a quello del progresso e della speranza: sarà il denaro a collegarli.
Le parole di Marta nascondono però un segreto: a leggerle per prima e ad approvarle è Gloria, affetta dalla sindrome di Rett e figlia di Paola, la principale donatrice della fondazione. Tra Marta e Gloria nascerà un rapporto profondo, assieme alla consapevolezza che dietro a fini nobili a volte si nascondono cinismo e disillusione.           
In Buone cause (Scatole Parlanti), Stefano Salvi non descrive solo il complicato settore del fundraising, ma mette in scena l’eterna lotta tra il bene e il male, il confronto tra chi vuole cambiare il mondo e chi da quel mondo si è fatto travolgere. L’autore riesce a coniugare realtà e disincanto, asprezza e speranza, in un racconto schietto e carico di umanità, sul cui sfondo si intravede la città di Roma.

Stefano Salvi, la Children’s Foundation descritta in Buone cause è piuttosto diversa dall’idea di ONG che la maggior parte delleStefano Salvi persone ha. Che aria si respira?           
SS: Vero. Perché, anche giustamente se vogliamo, si parla sempre dell’operatività delle ONG: campagne vaccinali, campi profughi, salvataggio di migranti in mare. A me interessava invece far conoscere l’altro lato, quello delle persone che si occupano di trovare i fondi per fare queste cose. Non è un lato oscuro, ci tengo a dirlo, anche se posso garantire che un po’ di cinismo professionale aiuta. Alcuni lo chiamano orientamento al risultato, che è un po’ più soft volendo.   
Ad ogni modo Buone cause va letto per quello che è, ovvero un romanzo, un’opera di finzione e non un reportage. Volevo raccontare l’incontro tra la crisi esistenziale di un uomo adulto con il percorso di crescita di una giovane attivista. Mettergli intorno il mondo delle ONG è servito a dare maggiore risonanza e profondità ad alcuni aspetti, facendo emergere conflittualità e apparenti contraddizioni.

La sua di esperienza nel settore del fundraising invece com’è stata?              
SS: Se qualcuno si aspetta che Buone cause sveli il marcio di questo mondo mi spiace, resterà deluso. Dopotutto se si hanno cattive intenzioni e voglia di fare soldi facili il nonprofit non è la strada giusta. Le persone che fondano le associazioni sono profondamente motivate, spesso perché toccate personalmente da un problema: in loro vive un forte desiderio di aiutare, non di arricchirsi. Il fundraising è solo il prolungamento di questa motivazione, la voglia di coinvolgere sempre più persone intorno a una mission con la finalità di cambiare il mondo o di renderne anche solo un pezzetto migliore. Se lo interpretiamo in questo modo la donazione non è altro che uno strumento di cittadinanza attiva.

Tra le tante vicende con cui è venuto a contatto, c’è una storia che l’ha colpita più delle altre?
SS: Ho lavorato molti anni a termini con i senza dimora. Ho conosciuto a fondo il mondo della disabilità cognitiva. Mi sono occupato di migranti e adesso lavoro per una associazione che accoglie bambini malati di cancro. Avrei molte storie da scegliere ma quello che sempre più mi sorprende è come con l’adeguato supporto e una buona dose di professionalità, anche le situazioni che sembrano più disperate possono evolvere positivamente. Si parla molto di resilienza, enfatizzando le risorse personali a discapito della rete che sostiene la persona nel momento di difficoltà. Attivare quella rete, renderla solida, vincere lo scetticismo della persona e vederla conquistare anche dei piccoli traguardi è la più grande soddisfazione. Nessuno si salva da solo.

Nel suo romanzo Roma fa da sfondo, ma non viene quasi mai nominata. Perché questa scelta?
SS: Perché Roma è una città ingombrante. Lo è per la sua complessità odierna, per tutte le narrazioni che si porta dietro essendo stata l’ambientazione di innumerevoli film, romanzi e persino canzoni. Ho deciso quindi di tenerla sottotraccia, in modo di potermi concentrare sulla storia e sui personaggi. In questo modo ne è uscito un racconto forse più universale. Verso la fine del romanzo ho scelto invece di nominare un parco e alcune vie di un quartiere dove ho vissuto, un po’ per rendergli omaggio, un po’ perché ormai la storia si era conclusa e il peso di questa città, arrivato a quel punto, non mi spaventava più.

Come si riesce a far breccia in un potenziale donatore attraverso una lettera o un post? E cosa si può fare veramente per dare il proprio contributo alle tante situazioni drammatiche intorno a noi?
SS: L’esperienza del dono non l’hanno inventata i fundraiser. Il donare, il donarsi, la gratuità che sottende questi gesti è qualcosa che è costitutiva dell’esperienza umana e della nostra quotidianità. I fundraiser fanno semplicemente leva su questo, andando a intercettare le persone che sono già sensibili a determinate cause sociali. Per capire come, per avere un’idea della complessità delle tante tecnicalità che occorre mettere in campo per acquisire un donatore e tenerselo stretto vi consiglio però di leggere il libro. Avrete sicuramente anche più strumenti per scegliere tra le 300.000 organizzazioni nonprofit presenti in Italia quella che fa al caso vostro, quella che reputerete importante sostenere e nella quale riporre la vostra fiducia.

Buone cause  
di Stefano Salvi           
Edizioni Scatole Parlanti

Stefano Salvi è nato a Roma nel 1984. Laureato in Antropologia culturale, ha lavorato in diversi centri di accoglienza per senza dimora della Capitale curando anche dei laboratori di scrittura creativa. Attualmente si occupa di digital fundraising e comunicazione per il terzo settore. Ha pubblicato alcuni racconti per Edizioni Ensemble. Buone cause è il suo primo romanzo.

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