Nell’ultimo romanzo di Giulia Caminito L’acqua del lago non è mai dolce (Bompiani) c’è una promessa di asprezza, un filo di tensione costante che lega Gaia, la protagonista, alla madre Antonia, e che le accompagna nel loro continuo peregrinare da un posto all’altro, da una casa all’altra.
Gaia e Antonia hanno gli ‹‹stessi capelli rossi crespi››, gli ‹‹stessi occhi verde fango››, le stesse lentiggini, ma la loro somiglianza più che segno di prossimità è ‹‹assoluta incoerenza››. Antonia sembra un’Anna Magnani dei nostri giorni: protesta, zittisce tutti, e soprattutto non si arrende mai. Cocciuta e inflessibile si occupa da sola di quattro figli e di un marito disabile. Ha imparato che ‹‹bisogna insistere fino a ottenere››, e siccome quello che vuole è un posto dove stare con la sua famiglia, si finge avvocato per ottenere una casa dal Comune, a costo di venire portata via di peso dalla sicurezza. Gaia la osserva, la giudica e non la perdona, consapevole che ogni loro caratteristica comune è ‹‹mortale difetto››.
Emerge tra le pagine un quesito di fondo: ‹‹Perché deve essere così difficile capire a che luogo apparteniamo?››. La risposta è forse nel quartiere dove Gaia inizialmente vive, che non si può neanche definire periferia quando non si sa qual è il proprio centro. Un luogo desolato, incolto, perché piantare anche solo un fiore significa voler rimanere. Gaia non ha mai visto il Colosseo, la Cappella Sistina, il Vaticano, Villa Borghese o piazza del Popolo. Anche quando alla sua famiglia viene assegnato urgentemente l’unico alloggio disponibile, a Corso Trieste, quartiere della Roma bene, tutto è difficile, costoso, ostile: ‹‹un posto bello che nessuno può toccare››.
Il trasloco successivo è ad Anguillara, vicino al lago di Bracciano, con la sua ‹‹lingua di carbone, odore di alghe limacciose e sabbia densa››. È lì che Gaia, ormai adolescente, vuole smettere di essere una ‹‹bambina difettosa››, inadeguata. Con i suoi capelli tagliati male dalla madre e i vestiti del fratello, per i compagni di scuola rimane però solo ‹‹’na poraccia, ‘na secchiona con le pezze ar culo››.
Nel tentativo di emanciparsi dall’autorità di Antonia, Gaia cerca di difendersi da sola, facendo esplodere una rabbia che è ‹‹sproporzionata, ha gambe lunghissime, orecchie piccole e docili, piedi corti e pelosi››. Spara alle lattine, aggredisce un’amica, rompe il ginocchio a un compagno. Per cercare sé stessa, l’altro da sua madre, Gaia ha reazioni violente, e soprattutto è incapace di perdono.
Giulia Caminito ribalta i canoni del romanzo di formazione e descrive una generazione per cui non esiste più il riscatto. C’è un corto circuito tra le ideologie dei padri e l’individualismo dei figli, un dialogo impossibile tra valori e status symbol. È un conflitto generazionale che sembra solo poter implodere, estraneo al mondo di ieri, dove si riponeva la speranza in mezzi tradizionali come lo studio e il sacrificio. Il risultato è una realtà dove non c’è posto per la progettualità, uno spazio vuoto che nessuno sembra in grado di riempire.
L’autrice si serve di uno stile immediato, di una scrittura cruda e nervosa che restituisce una narrazione realistica, quasi in presa diretta. Il lavoro linguistico è accurato e costruito su una sintassi solo apparentemente semplice, capace di interpretare i pensieri di Gaia e le sue emozioni più nascoste. Il lettore non può che fermarsi sulla sponda del lago, e ascoltare una storia di resistenza dei nostri giorni, increspata dal vento di una poetica spigolosa.
L’acqua del lago non è mai dolce
di Giulia Caminito
Bompiani Editore
Giulia Caminito è nata a Roma nel 1988 e si è laureata in Filosofia Politica. Ha scritto i romanzi La Grande A (Giunti 2016, Premio Bagutta opera prima, Premio Berto e Premio Brancati giovani) e nel 2019 Un giorno verrà (Bompiani, Premio Fiesole Under 40).
L’acqua del lago non è mai dolce è entrato nella cinquina del Premio Strega 2021 e ha vinto il Premio Campiello.