Con I tuoni, edito da Ponte alle Grazie, Tommaso Giagni si conferma uno dei più lucidi narratori della periferia romana contemporanea.
Il suo è un viaggio cominciato quasi dieci anni fa con L’estraneo (Einaudi, 2012) e proseguito con Prima di perderti (Einaudi, 2016), in cui l’autore ha sondato la marginalità da un punto di vista sia urbanistico che esistenziale.
Per il suo ultimo romanzo Giagni sceglie come ambientazione una periferia tra il Raccordo Anulare e l’Aniene, accanto a un grande parco. È un quartiere senza nome, e questo ne fa un luogo universale, rappresentativo degli agglomerati sub-urbani di tante città italiane. Si tratta di realtà abitative sorte intorno ai centri commerciali, spesso confinanti con zone di ex-cantine e di garage occupati. Nelle intenzioni dei costruttori dovevano diventare sobborghi sul modello anglo-sassone, ma la crisi economica ha poi causato non solo la chiusura dei malls, ma anche la mancata realizzazione dei servizi ai cittadini.
Al centro della narrazione de I tuoni vi è proprio questo fallimento urbanistico, generatore di un ‘nuovo quartiere’ con ‘nuovi abitanti’, dove ‹‹le gru dei cantieri sventolano sui nuovi lotti come bandiere segnaposto su un giacimento››. Il neo-microcosmo, in una sua stratificazione gerarchica interna, comprende infatti – con un livello di degrado crescente – le zone di Verde Respiro, Grotta e Spina. I suoi abitanti non sono però solo emarginati, ma anche la classe media che si è trasferita nelle villette della cintura urbana, quella dei centri commerciali, per l’appunto. È qui che vivono i protagonisti: Manuel, italo-egiziano, Abdou, ivoriano arrivato in Italia col barcone, e Flaviano, l’unico cresciuto nel quartiere. Sono tre ragazzi che condividono tormenti esistenziali e sogni: il talento informatico, canoro, e per Abdou una laurea in sociologia ottenuta nel suo paese di origine. Nell’inseguire il loro posto nel mondo, sono tutti alla ricerca di sé stessi, perché la periferia è insieme disagio e speranza. Così se Manuel – il primo italiano madrelingua in famiglia – non intende fare il fruttivendolo come suo padre, Flaviano – col suo ‹‹pianto muto che nessuno può sentire›› – canta nei locali, mentre Abdou prega, spaccia e si chiede cosa possa dire Dio di tutto questo.
Il racconto neo-realista di Giagni descrive un mondo con le sue leggi e i suoi codici, dove la vita è regolata dal Reuccio, il malvivente del quartiere, che i ragazzini fanno a gara a imitare nei loro giochi. La scrittura, lirica e scarna, dove l’autore non fa mai uso del romanesco, non è documentaristica e restituisce dignità al luogo. È uno stile che nella sua essenzialità coglie la tensione sociale conseguente al disagio economico e ne individua le dinamiche inarrestabili. E se nella prima parte del romanzo la prosa lascia intravedere i lampi di un temporale incombente, i tuoni esploderanno sul quartiere con l’arrivo di Donatella, che accenderà la miccia del cambiamento sul terreno facilmente infiammabile di un patto sociale non mantenuto. La ragazza, nonostante i suoi diciassettenne anni, ha infatti una grande consapevolezza politica dei mutamenti socio-economici in atto, e fornendone una lettura agli altri, innescherà la detonazione della loro rabbia.
Al centro della narrazione di Giagni rimane comunque sempre Roma, una ‹‹macchia di smog›› appena visibile dalla periferia, dove colli e palazzi sono nascosti da una colata di cemento abusivo. In lontananza si può solo immaginare il cuore di una metropoli stanca, divenuta un parco a tema, da cui si diramano le arterie della periferia, vitali e pulsanti. Non esiste un confine, né serve per sentirsi esclusi – suggerisce l’autore -, che fa della marginalità, prima che una delimitazione territoriale, una condizione umana trasversale e pericolosamente esplosiva.
Tommaso Giagni è nato a Roma nel 1985. È co-autore delle antologie Voi siete qui (minimum fax, 2007) e La caduta dei campioni (Einaudi, 2020). Ha Pubblicato i romanzi L’estraneo (2012) e Prima di perderti (2016), entrambi con Einaudi. Scrive per L’Espresso, Avvenire e l’Ultimo Uomo.