Silvia Celani torna alla scrittura con Quello che si salva, edito da Garzanti. Il romanzo svela ancora una volta, come il precedente Ogni piccola cosa interrotta, il gusto per gli oggetti quotidiani, quelli che sembrano non avere molta importanza e invece sono capaci di risvegliare i ricordi, metterli in fila e riscrivere una storia.
E di storia ce n’è tanta, in Quello che si salva. C’è quella di oggi, in una Roma affannata e routinaria, e c’è quella degli anni della Resistenza, drammatica e necessaria. Misteriosamente, il filo del tempo lega la vita di due donne, Flavia e Giulia, apparentemente diverse, eppure accomunate da un’esigenza comune: capire quello che ancora si può salvare.
L’autrice scrive un romanzo maturo e commovente sul coraggio e sulla forza di lottare per ciò in cui si crede, ma anche sulla paura che ci rende fragili e umani. E con grazia regala due figure di donne che pur non sentendosi eroine, sono protagoniste: Giulia della storia di ieri e Flavia di quella di domani.
Alla fine, più che noi, è quello che decidiamo di salvare a dire chi siamo veramente.
Silvia Celani, come nel suo romanzo precedente Ogni piccola cosa interrotta, anche in Quello che si salva un oggetto è al centro della trama. Da dove nasce questa sua passione per le cose?
SC: Gli oggetti, spesso, sono le uniche cose tangibili che ci lasciano le persone che abbiamo perduto: per questo diventano piccole macchine miracolose capaci di mettere in moto gli ingranaggi dei nostri ricordi. Quante volte è accaduto a ognuno di noi, di trovare per caso qualcosa che apparteneva a una persona che abbiamo perduto e improvvisamente sentirla vicina, quella persona, quasi tangibile al nostro fianco?
Nelle mie storie, gli oggetti hanno proprio questa funzione: sono la miccia dalla quale ha origine la narrazione.
Come per le cose, anche le vite dei suoi protagonisti hanno spesso bisogno di essere aggiustate o rimesse a posto. Cosa devono ancora sistemare Giulia e Flavia?
SC: Giulia e Flavia sono due protagoniste apparentemente molto diverse tra loro: Giulia (alias nonna Luli) è una signora di novant’anni; Flavia, invece è una ragazza di venticinque. Eppure, queste due donne così diverse, sono legate da un affetto profondo che nasce da uno speciale e reciproco riconoscimento, da uno specchiarsi continuo l’una nell’altra. Questo avviene perché, a ben vedere, Giulia e Flavia condividono l’anima fragile delle sopravvissute; di chi, in qualche modo, è riuscito a venir fuori dalle macerie sotto alle quale la vita l’ha quasi sepolto vivo, ma continua a nutrire verso sé stesso un invalidante senso di colpa. Giulia è sopravvissuta alla guerra e alla perdita di tutti i suoi affetti più cari. Flavia è sopravvissuta al fallimento della sua famiglia, all’allontanamento repentino e drastico del padre, all’accartocciamento su se stessa della madre e allo sbandamento del fratello minore.
Giulia e Flavia sono due donne che a un certo punto della loro vita devono capire che cosa è ancora possibile salvare e se è giusto lottare fino alla fine pur di salvarlo.
Il suo racconto si svolge su due piani temporali diversi, la Roma di oggi e quella dell’occupazione nazi-fascista. È stato difficile far rivivere dei personaggi della Resistenza realmente esistiti?
SC: Desideravo da molto tempo scrivere una storia che avesse al centro l’esperienza preziosissima della Resistenza. L’ispirazione è arrivata quando ho conosciuto, attraverso la lettura della sua biografia, una delle protagoniste principali di quella vicenda, la donna alla quale mi sono ispirata nella costruzione di Giulia Monti: Carla Capponi, medaglia d’oro al valor militare per aver partecipato alla guerra di liberazione partigiana in qualità di gappista. Quando ho iniziato a immaginare una trama intorno a questa tematica storica, il mio unico obiettivo era evidenziare soprattutto il lato umano dei ragazzi e delle ragazze che durante quegli anni difficili e dolorosi hanno sacrificato ogni cosa per la libertà. I loro timori, le paure, le contraddizioni, i dilemmi morali, il desiderio di vivere comunque la loro età, di stringere amicizie, di assaporare l’amore. A volte, studiando la Storia, ci dimentichiamo di come i suoi protagonisti e le sue protagoniste, siano uomini e donne esattamente come noi. Esseri umani che soffrono e amano, che ridono e piangono. Quindi, per tornare alla sua domanda: no, non è stato poi così difficile far rivivere i personaggi della Resistenza realmente esistiti. È stato solo un enorme onore.
Per quanto riguarda le fonti storiche, come si è preparata alla stesura del testo?
SC: Ho letto e studiato tantissimo. E forse è stata proprio questa la parte più interessante e coinvolgente dell’intero lavoro. Ho focalizzato la mia attenzione soprattutto sulla lettura delle testimonianze dirette dei giovani gappisti e delle giovani gappiste, che per fortuna ci hanno lasciato delle opere scritte molto ben fatte: sincere ed approfondite. Al termine del romanzo, ho sentito la necessità di elencare i titoli che più degli altri mi hanno aiutata nella stesura del romanzo.
Inoltre, quando mi è stato possibile, ho visitato fisicamente i luoghi descritti. Alcuni posti della mia città, per esempio, davanti ai quali sono passata tante volte senza avere coscienza di cosa vi fosse accaduto durante la guerra e l’occupazione nazista, e dei quali ho potuto fare un’esperienza completamente diversa.
Silvia, alla fine che cosa si salva veramente?
SC: Si salva tutto ciò per cui abbiamo trovato il coraggio e la forza di lottare. Si salvano gli attimi in cui non siamo stati indifferenti, gli attimi in cui abbiamo scelto di non voltare il viso da un’altra parte. Quelli in cui abbiamo teso la nostra mano, pur sapendo che rischiavamo di scivolare tra le onde e esserne inghiottiti.
Tutte le volte che siamo stati uomini e donne, e non vili codardi. Tutte le volte che abbiamo deciso di rischiare, pur di essere fino in fondo noi stessi. Perché, come non si stanca di ricordaci nonna Luli, “abbiamo una sola vita per essere ciò che vogliamo”.
Silvia Celani è nata e vive a Roma. Il suo romanzo d’esordio Ogni piccola cosa interrotta è sempre in classifica e ha riscosso un grande successo di critica e di pubblico. Il suo motto è ‹‹se puoi sognarlo puoi farlo››.