Trentasette anni, ossia tredicimilacinquecento giorni, trecentoventiquattromila ore, si sono frapposti tra un padre e un figlio. Loro sono I colpevoli,
protagonisti dell’ultimo romanzo di Andrea Pomella edito da Einaudi, e il lungo tempo rabbioso che li ha allontanati è cominciato quando il padre se ne è andato di casa. Il figlio di sette anni gli ha consegnato una lettera con scritte quattro parole: “Non voglio più vederti”, poi le lacrime nei suoi occhi sono diventate come “schegge di ghiaccio”.
Quel bambino, diventato a sua volta padre, riprende a scrivere quella lettera addentrandosi nei territori della vita persi “in un’antica guerra.” Il cauto riavvicinamento fra i due avvia così una narrazione potente, dove l’autore padroneggia la trasformazione del vissuto personale in sentire universale, restituendo al lettore pagine di letteratura. Sarà voluta e dolorosa la ricostruzione del padre, che da “ologramma silente” potrà farsi persona solo tramite la materia delicata del perdono.
Come nel precedente romanzo L’uomo che trema, lo sguardo che ne I colpevoli Andrea Pomella affonda nell’abisso dell’esistenza, causa una vertigine emotiva allo stesso tempo cruda e poetica.
Andrea Pomella, cosa l’ha spinta a scrivere di una vicenda così intima come l’abbandono da parte di suo padre?
AP: Non mi interessava l’aspetto intimo della vicenda, ma il suo contrario, la possibilità di essere a suo modo collettiva, di poter parlare una lingua comune a tutti gli umani, trattando temi come la colpa, il perdono e il rapporto tra padri e figli.
Il suo è un romanzo sul tradimento e sul perdono. Cosa significano per lei?
AP: Tradire significa venir meno a una legge morale. Se la si guarda da un’altra prospettiva è una rivendicazione di libertà molto forte, è assumersi la responsabilità di contestare quella legge. Perdonare è apprendere la lingua di colui che ci ha arrecato l’offesa, senza tuttavia che ci sia stata una richiesta esplicita di perdono, poiché credo che in tal caso non ci sia perdono ma compassione, e l’atto di pietà è altro rispetto al perdono.
Lei cita diversi autori che hanno scritto sulla relazione tra padre e figlio. Ce n’è uno che sente più vicino alla sua sensibilità?
AP: Quando Kafka nella lettera al padre scrive: “Mi guardo bene dall’affermare di essere diventato come sono solo per causa tua; tu rafforzavi soltanto una situazione di fatto, ma la rafforzavi in modo determinante, perché nei miei confronti avevi un grande potere e lo impiegavi tutto”, ecco, io provo un sentimento di grande comprensione e vicinanza umana, uno dei più grandi che mi sia capitato di provare tra le pagine letterarie.
Perché descrivendo la borgata di Roma in cui è cresciuto la chiama sempre “S.” senza mai rivelarne il nome?
AP: Perché S. è un anywhere, è un posto che forse esiste unicamente nella mia memoria e nelle mie ossessioni, è un luogo solo mio, e se lo avessi chiamato per nome avrei dovuto condividerlo con chi lo conosce, ci vive, o ci ha vissuto.
Chi sono “i colpevoli”?
AP: Chiunque abbia perdonato l’imperdonabile attraverso l’atto supremo della comprensione, cercando di capire le contingenze e le ragioni dell’altro, spingendosi fino alla correità, senza restare arroccati ciecamente sulla propria posizione di innocenza.
I colpevoli
di Andrea Pomella
Edizioni Einaudi
Andrea Pomella è nato a Roma nel 1973. Scrive su Il Fatto Quotidiano on line, su Doppiozero e su minima&moralia. Ha pubblicato diversi libri d’arte, tra cui I Musei Vaticani (Editrice Musei Vaticani, 2007) e Caravaggio. Un artista per immagini, con prefazione di Maurizio Calvesi (ATS Italia, 2005). Ha pubblicato inoltre i romanzi Il soldato bianco (Aracne, 2008), 10 modi per imparare a essere poveri ma felici (Laurana, 2012), La misura del danno (Fernandel, 2013), Anni luce (Add, 2018) e L’uomo che trema (Einaudi, 2018). Insegna scrittura autobiografica alla Scuola del Libro di Roma.