Molto sappiamo della storia di Roma dalle sue origini fino alla caduta dell’Impero. Conosciamo la sua espansione e le guerre che la accompagnarono, le espressioni culturali della latinità e le biografie dei grandi uomini del tempo.
Ma come veniva vissuta la vita privata degli antichi romani? Non solo quella dei personaggi pubblici, ma anche quella degli uomini comuni. E le donne? Si può sostenere che i sentimenti non conoscono epoca?
A questa e a molte altre domande, risponde Eva Cantarella, professore di Diritto romano all’Università di Milano, nel suo ultimo libro ‘Dammi mille baci’, edizioni Feltrinelli.
Accurato come un saggio, ma scorrevole come un romanzo, il libro, attraverso aneddoti intriganti e preziose citazioni, fa luce sulla vita privata del ‘civis romanus’, aspetto spesso sacrificato rispetto alla vita pubblica e ufficiale.
‘Dormiremo una totale notte senza fine.
Dammi baci cento baci mille baci
e ancora baci cento baci mille baci.’
Catullo dedica questi suoi famosi versi alla donna da lui amata, Lesbia, e quando il loro amore sembra essere finito, ha per lei parole altrettanto piene di sentimento:
‘Così amata da te è stata lei
come nessuna da nessuno mai…
Ora non vuole più.
Debole cuore, non devi volere più
neanche tu’.
Anche se le parole di Catullo potrebbero essere dedicate a un amore dei giorni nostri, non è esatto pensare che gli antichi romani vivessero i loro sentimenti in modo identico a noi.
La vita di coppia, regolata dall’atto matrimoniale, era infatti all’epoca una sorta di dovere sociale, che garantiva alleanze politiche e benefici economici alle classi più agiate, e indistintamente a tutti i cittadini, la legittimità di una prole che si sperava numerosa.
Anche nell’antica Roma, però, il calo delle nascite cominciò ad essere un problema, tanto che nel 131 a.C., il centurione Metello Numidico, preoccupato, dichiarò: ‘Se potessimo vivere senza mogli, o romani, nessuno di noi si sognerebbe di accettare le noie del matrimonio’.
‘E’ male amare la propria moglie come se fosse un’amante’, diceva Seneca, e nelle sue parole torna la concezione del matrimonio come patto, non come scelta affettiva.
Ecco che accanto all’amore dovuto, quello matrimoniale, c’erano allora tante altre forme di amori possibili.
‘Il miele dei tuoi occhi bacerei
infinite volte e non sarei
mai di baciarti sazio.’
Così, sempre Catullo, esprime il proprio desiderio per Giuvenzio, un suo giovane scolaro.
I rapporti omosessuali erano infatti piuttosto diffusi all’epoca, ma consentiti solo con i giovani o con i propri schiavi, ed esclusivamente in un ruolo attivo, in modo da non mettere in dubbio la propria virilità.
E’ questo un punto fondamentale per capire la distanza tra il modo di amare dei nostri giorni e quello dell’antica Roma, dove non era scambio, ma dominio e prevaricazione, non a caso ai prigionieri di guerra veniva spesso riservato come trattamento la sodomia.
Ovviamente esisteva poi un notevole numero di bordelli, che non mancavano in nessuna città dell’Impero.
Le prostitute, dette lupae, non indossavano la stola, come le matrone, ma una toga sopra al ginocchio e si tingevano i capelli di rosso.
Immediatamente riconoscibili, per far sì che non potessero confondersi con le altre donne, erano costrette come si può immaginare a una vita ai margini della società, tuttavia, il loro lavoro era riconosciuto come socialmente utile, tanto che il 23 di aprile era una festività a loro dedicata.
E l’universo femminile, invece?
Inutile dire che per le donne non esistevano ‘amori possibili’, ma solo ‘l’amore dovuto’, tanto che la vita di una donna era impensabile senza un uomo al suo fianco.
Così è per Porzia, com’è noto, che rimasta vedova di Bruto, uno degli assassini di Cesare, sa che in quanto moglie non può sopravvivere al proprio marito, e si uccide ‘inghiottendo castissimi carboni ardenti’, come ci ha tramandato Valerio Massimo.
I baci pieni di passione tra Catullo e Lesbia, basia, in latino, erano poi per lo più destinati ad infiammare i versi dei poeti, mentre alle donne comuni spettava solo qualche osculum, il bacio che i parenti davano alle matrone per controllare che non bevessero vino, cosa vietata da una legge attribuita a Romolo.
La sua infrazione prevedeva che il marito potesse uccidere la moglie.
Anche se nel’antica Roma le donne vivevano una realtà per noi inconcepibile, che noi oggi definiremmo come minimo maschilista, si distinsero spesso per la loro combattività e la loro ironia.
Successe ad esempio con l’introduzione da parte di Augusto della ‘legge Giulia sugli adulteri’, con la quale l’adulterio delle donne, quello maschile era più che tollerato, s’intende, veniva punito non più in famiglia ma dallo Stato.
La legge escludeva però le lupae, e fu così che molte matrone, che non vedevano di buon occhio l’intrusione dello Stato nella vita privata, andarono a registrarsi negli elenchi delle prostitute!
Vizi privati e pubbliche virtù, si potrebbe dire dopo questo viaggio nella Roma privata, e questo è l’unico aspetto a non essere forse così diverso dal periodo in cui viviamo.
Per il resto, come sottolinea Eva Cantarella: ‘Non era facile, la famiglia romana. Non era un’isola felice, definizione che spesso si usa per la famiglia, collocandola al di fuori della storia. Idealizzarla, come si tende a fare con le cose del passato più o meno lontano, sarebbe veramente un errore.’
Dammi mille baci, di Eva Cantarella
Edizioni Feltrinelli
Pagine 188, Euro 15
Si ringrazia la Casa Editrice Feltrinelli per le foto dell’articolo
Immagine Home Page tratta da Wikipedia