Il romanzo dellanno

Il romanzo dell’anno

Il romanzo dellannoLivia è in coma in un letto della rianimazione. La notte di Capodanno ha litigato con il fidanzato Niccolò, e correndo via in motorino è caduta violentemente sui sampietrini. Da quel momento la vita dei due ragazzi è sospesa, la loro storia messa in pausa nel punto in cui stava iniziando il futuro.

C’è solo un modo perché tutto non abbia fine, ed è raccontare com’è il mondo senza Livia, immaginare il suo risveglio. Niccolò comincia così a scrivere, e dalle sue parole nasce Il romanzo dell’anno di Giorgio Biferali (La nave di Teseo editore).
Flusso di coscienza e allo stesso tempo atto di resistenza, la metanarrazione scorre inarrestabile e necessaria, perché “se se ne vanno anche i ricordi è finita”. L’autore tesse mirabilmente il fil rouge dell’ieri e dell’oggi, e ne coltiva con devozione il terreno affinché il domani possa germogliare. Sarà la memoria, in quel non-luogo che è l’ospedale, a unire passato e futuro, a restituire una storia che nel suo divenire si tinge di un realismo dalle sfumature poetiche.

Giorgio Biferali, che significato ha la narrazione ne Il romanzo dell’anno?
GB: A pensarci bene, ce ne sono diversi, di significati. La cornice del romanzo, come si intuisce dal titolo, è il 2016. È lì, in questo presente destinato al racconto, a diventare quindi parte di una storia, che succede tutto. Il protagonista, Niccolò, si ferma, rimette tutto a fuoco, decide di scrivere a una lettera a Livia, che si trova nel tragico limbo del coma, e in questo modo reinventa la sua vita. Non è più quello di prima, visto che ha cominciato a scrivere. E questa sorta di metaromanzo non è altro che un inno alla scrittura, ai processi creativi che comporta, alla fatica, alle difficoltà, alla sofferenza, alla grande magia, soprattutto, che la scrittura può offrire, quella di giocare con il tempo, di ingannarlo, di fermarlo per sempre.

Come il suo romanzo precedente (L’amore a vent’anni, Tunué), anche questo è percorso dalla sensazione del cambiamento, dello sconvolgimento. E’ un tema che la affascina come scrittore?
GB: Mi affascina, sì, e mi spaventa. Credo di essere una persona eternamente inquieta, che da un lato cerca sempre la novità, il cambiamento, e dall’altro rimugina su quello che c’era prima, e continua a domandarsi perché tutto cambi così velocemente. Forse lo spazio ideale per uno scrittore è lì, in sospeso, a metà strada tra queste due tensioni.

Tra le pagine ricorrono molte liste che i due protagonisti Livia e Niccolò amano stilare. La sua è in qualche modo, citando Umberto Eco, una “vertigine della lista”?
GB: Credo che “vertigine” sia la parola giusta, visto che spesso ho paura di perdermi. Le liste, gli elenchi, nel romanzo, rappresentano uno dei tanti mezzi, per Niccolò, per mettere a fuoco i ricordi, per addolcire un presente che non comprende più la sua storia d’amore, per non dimenticare. Per quanto mi riguarda, gli elenchi servono soprattutto a fare chiarezza, a fare un resoconto, ogni tanto, della mia vita, di quello che ho fatto e di quello che ancora devo fare, a dare una forma ai miei pensieri. E poi gli elenchi mi offrono l’illusione di non essere una persona poi così disordinata.

In quale Roma si muovono Livia e Niccolò?
GB: In questo romanzo, rispetto a quello precedente, Roma non è più un personaggio. Appare nell’incipit, nella scena dell’incidente, e poi si confonde con il resto delle cose. Per parafrasare un gigante come Walter Benjamin, sono più “immagini di città”, che città vere e proprie, che appaiono e scompaiono rapidamente, solo per mostrare al lettore quello che succede. Ma si sa, come disse il Marco Polo di Calvino, in fondo dietro a tutti i luoghi che descrivo, si nasconde Roma.

L’incidente di Livia avviene la notte di Capodanno e divide un prima da un dopo. Cosa le fa pensare questo clima di sospensione, anche in riferimento al particolare momento che stiamo vivendo a causa del Coronavirus?
GB: Come dicevo, io credo di aver vissuto sempre in un clima di sospensione, ed è una cosa che in realtà mi fa sentire vivo. Certo, tra la memoria e le aspettative, si rischia di trascurare una dimensione fondamentale, quella del presente. Quello che conta, e che aiuta ognuno di noi, alla fine, è il nostro tempo interiore, quello che ci somiglia di più. Il romanzo si gioca tutto sulla sospensione, sull’incertezza, “si risveglierà dal coma?”, “se non avessi fatto…?”, “se non avessi detto…?”, “le scrivo una lettera, chissà se la leggerà mai”. Non è un caso che a un certo punto ci siano delle pagine bianche con delle domande al centro. Tutto questo, in parte, è simile a quello che stiamo vivendo adesso, perché in fondo tutte le “sospensioni” si somigliano un po’. Solo che nessuno di noi immaginava tutto questo, nessuno di noi era pronto per una cosa del genere, quindi questa sospensione è un po’ diversa dalle altre. È un’occasione per conoscere meglio noi stessi, per ripensare al nostro tempo interiore e accettare, in una nuova forma, cose come la routine, la solitudine, l’attesa.

Il romanzo dell’anno
di Giorgio Biferali
La nave di Teseo editore

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