L’ultimo romanzo di Alessandro Narduzzi, Ci sentiamo verso sera (Edizioni Ensemble), è uno sguardo gettato tra passato e presente.
Del protagonista, Claudio, il lettore fa conoscenza attraverso l’immagine riflessa in una vetrina. Un po’ appesantito e con qualche capello bianco, egli stesso stenta a riconoscersi in quell’uomo che si è lasciato la giovinezza alle spalle e ora ha un aspetto così diverso. Sta per andare a un importante appuntamento in una chiesa di Roma, Claudio, che però, tra una birra e una chiacchera con un cameriere indiano, tergiversa e sembra voler allontanare quell’incontro.
Con una notevole maestria nel maneggiare il tempo, l’autore pone tra il lettore e quell’appuntamento l’intera trama del romanzo, mettendo indietro le lancette della vita del protagonista.
Ha diciotto anni, Claudio, e un’ambulanza sta per portarlo in ospedale. Da un po’ soffre di nausea, capogiri, e il suo stomaco non riesce più a trattenere niente. In quel non-luogo che è l’ospedale, complice la dilatazione del tempo, Claudio sarà lo spettatore di uno spettacolo in cui si alterneranno luminari, codazzi di specializzandi, brodini e analisi.
Durante l’orario di visita anche i suoi genitori diverranno protagonisti di questo teatro surreale dai tratti saramaghiani: il padre, famoso regista sempre di corsa tra un aereo e un altro, e la madre, attrice impegnata a recitare la parte che la vita le ha assegnato.
Nelle continue vertigini di Claudio c’è tutta la sua mancanza di equilibrio rispetto a quello che lo circonda, l’impalpabile malessere che inevitabilmente accompagna il passaggio all’età adulta. Desiderio, illusione e delusione segnano il passo della sua esistenza, scandendo i tempi di un prima e di un dopo. Tra questi estremi si insinua il divenire inarrestabile, il temuto futuro, l’attimo in cui una vetrina restituisce l’immagine di ciò che siamo diventati. E’ il momento della consapevolezza, che l’autore cerca di afferrare più volte in questo romanzo sospeso tra sogno e realtà, dove palpabile è l’influenza di Saramago e Pessoa, autori amati da Narduzzi.
Ci sentiamo verso sera non è tanto un romanzo sul male di vivere, quanto, fin dal titolo, la promessa di un appuntamento nell’ora in cui la luce si affievolisce. E’ un viaggio da fermo, un farsi rincorrere dal tempo anziché rincorrerlo e tornare alla mattina della tesi di laurea o al momento prima della partenza per le indimenticabili vacanze alle Eolie. Mare, brezza e tramonto sono la poltiglia che un giorno si chiamerà catarsi, immagini impresse per sempre nella memoria con cui combattere l’ordinario mascherato degli anni a venire.
A questa narrazione, dove il tempo è un filo sospeso tra i capitoli, si contrappone l’ambientazione tra i vicoli di Roma, sul lungotevere, nelle sue piazze dove di notte è una poesia. Solo la città eterna poteva forse fare da sfondo a questo romanzo dei non-luoghi dove il tempo si dilata nel ricordo. Ancora traffico e lungotevere, passando accanto al cantiere eterno dell’Ara Pacis, poi giù per i sottopassi, clacson frignanti e architetture improbabili che mi accompagnano durante il ritorno, cornice di un deserto che gente ignobile chiama città.
Ponti, scorci e piazze sembrano l’unico elemento fermo di questo romanzo incalzato dal tempo. Narduzzi, che è anche pittore e architetto, li usa per dare respiro al pensiero e riportare Claudio alla realtà. Chi legge sa che un appuntamento lo aspetta, verso sera.
Alessandro Narduzzi (Roma, 1968), è pittore e architetto. Precedentemente ha pubblicato Viaggio da fermo (Lulu.com Editore). E’ un appassionato lettore di Saramago e Pessoa e un amante della bicicletta.