Una confessione spontanea art

Una confessione spontanea

Una confessione spontanea artOdetta Sanfilippo, l’indimenticabile protagonista di Due perfetti sconosciuti, torna nel nuovo romanzo di Michele Tortorici Una confessione spontanea (Manni Editori).

L’arzilla signora lascia la sua casa al quartiere San Lorenzo e parte per un periodo di vacanza al Circeo, dove una mattina Antonino, un contadino semplice e mite, viene assassinato nella sua stalla. “Prendete me. Non aggiungerò niente altro”, dichiara in una confessione spontanea ma poco credibile l’anziano professor Granati, uomo conosciuto e stimato da tutti. Intanto, la polizia e il magistrato sono già sulle tracce di un misterioso uomo notato da diversi testimoni.
Anche Odetta ha visto qualcosa, e comincia il suo racconto davanti all’attonito vice questore La Monica: nulla è sfuggito all’ex libraia, che durante le sue notti insonni ha scandagliato ogni ombra, registrato ogni rumore. Chi ha insanguinato il primo fine settimana di luglio di una tranquilla località costiera?
E’ come un fiume in piena, Odetta. Le sue parole hanno un ritmo battente, serrato. Cerca i tasselli della storia, li mescola e li ricompone, tutti, fino all’ultimo, quello capace di completare il quadro. Sospettati e insospettabili, con i loro vizi e le loro virtù, saliranno sul palco di questa godibilissima commedia umana dal sapore pirandelliano per guardare in faccia il male. “Quello che vediamo – scrive l’autore -, e quello che non vediamo ma c’è lo stesso.”

Tortorici Michele artProfessor Tortorici, finalmente Odetta si è presa una vacanza. Lascia Roma e va al Circeo, ma l’estate sarà tutt’altro che tranquilla. Cosa la aspetta?
MT: Purtroppo, l’aspetta un omicidio. Ma torniamo un po’ indietro. Già nel primo romanzo del quale è protagonista, Due perfetti sconosciuti, Odetta accenna, parlando con il suo nuovo affittuario, all’acquisto molti anni prima di una casa al Circeo. In quel dialogo parla anche di una sua «nuova vita più riposata e più tranquilla» cominciata proprio in quegli anni; però, al suo interlocutore che collega questa nuova qualità della vita a quella casa, lei risponde seccata: «Ma no, che c’entra il Circeo. La vita non dipende dai fine settimana». Che cosa voleva dire Odetta?
Ora che la vediamo in questa “casetta”, in questa che lei considera un’oasi di pace, ci accorgiamo che la sua vita, in fin dei conti, non cambia mai. I suoi ritmi sono sempre gli stessi: ritmi lenti, tanto che per arrivare da Roma al Circeo ci mette quasi quattro ore; ritmi scanditi dalle sue chiacchiere (in quelle ore di viaggio ha fatto la spesa e ha conversato con le sue amiche a Velletri), dalla sua insonnia e dalle sue letture; e, sì, in quella “casetta”, ritmi segnati anche dalla cura del giardino e dai rapporti con i vicini, non più, per la verità, che pettegolezzi estivi o grigliate serali. Che in quel primo fine settimana di luglio potesse aspettarla, a due passi dalla sua “casetta” e in quella che lei considerava un’oasi, addirittura un omicidio, beh questo proprio non poteva aspettarselo! Meno che mai poteva aspettarsi che a farsi arrestare per quell’omicidio si presentasse in commissariato quello, tra i vicini di quella “casetta”, con il quale lei aveva una particolare intesa: Maurizio Granati, un professore in pensione con il quale Odetta ha in comune l’amore per la lettura e che ha sempre considerato un modello di solidità mentale, oltre che una persona pacifica e irreprensibile. Il fatto che quella definita dal commissario la “confessione spontanea” di Granati non venga presa sul serio né dal commissario stesso né dal magistrato e che la polizia sia sulle tracce di uno sconosciuto visto da parecchi testimoni, ma poi fuggito, tranquillizza, sì, Odetta, per un verso: «Mi sento più tranquilla – afferma – se il mio vicino di casa è semplicemente un vecchio professore in pensione che, per qualche incomprensibile e stravagante motivo, vuole mettersi in mostra con la polizia, però intanto l’assassino è ben lontano dalla mia casa». Tuttavia mette anche in moto la sua irrefrenabile voglia di conoscere, di sapere come stanno effettivamente le cose.
A causa di questa voglia, sarà anche accusata di voler fare, a sproposito, «la miss Marple del Portonaccio». Naturalmente, lei non si offende affatto e risponde anzi per le rime a chi l’ha apostrofata così: «San Lorenzo – afferma –, il quartiere dove mi onoro di abitare, si trova appena fuori dalle mura aureliane: è nel cuore di Roma e non al Portonaccio, che a sua volta non merita davvero il suo tono di disprezzo dato che almeno, rispetto a tanti altri quartieri periferici di Roma, è stato amato da un grande poeta, Elio Filippo Accrocca. Il Portonaccio, dunque, non mi offende». Per quanto riguarda miss Marple, poi, dichiara: «la considero una delle più originali creazioni di Agatha Christie e credo proprio di avere in comune con lei l’amore per la verità e l’impegno a osservare la realtà per arrivarci».

Odetta, in effetti, sa osservare la realtà e interpretarla come pochi altri: collega, si interroga, deduce. Da dove nasce questa sua capacità, come scrive lei, di “fare il quadro della situazione”?
MT: Nasce dal suo amore per il dubbio. Nel suo libro Dubitare fa bene? Ágnes Heller scrive che il dubbio è «la via più faticosa dell’uomo moderno», ma anche quella necessaria perché la conoscenza non sia dogma e sia, invece, strumento di libertà. Odetta la penserebbe allo stesso modo, se fosse una filosofa. In realtà non lo è affatto: si ispira più alle battute dei film di Totò che a qualunque trattato filosofico. Il dubbio nasce in lei per istinto, istinto di libertà, e solo dopo la porta al ragionamento.
Lei ha detto benissimo: Odetta «collega, si interroga, deduce». Ecco, io semplicemente sposto «si interroga» al primo posto per spiegare il suo modo di pensare. Odetta forse non sempre si pone le domande giuste, ma, a forza di porsele, a poco a poco sente di potere arrivare al tempo stesso alla conoscenza e alla libertà. Inoltre, dato che non è una filosofa, si diverte un mondo a compiere questo suo percorso pieno di dubbi. Ho ricordato la sua passione per Totò. Ma devo aggiungere che, appena le capita un argomento dal quale possa ricavare una divagazione un po’ comica, non se lo lascia sfuggire. Per esempio, non perde l’occasione di divagare sui “monumenti” costituiti dalle cacche delle mucche quando descrive al commissario, a modo suo, il sentiero che passa davanti alla sua “casetta” e porta al “luogo del delitto”. Davanti a quel povero funzionario incredulo, che cerca in tutti i modi di zittirla, non esita a disquisire sull’etimologia dell’espressione “merda busa” che suo nonno usava per descrivere quelle cacche. Si diverte sì, divaga, ma, testarda com’è, non esce fuori dal suo percorso pieno di dubbi. È così che, mentre il commissario, con le sue certezze e con l’evidenza delle testimonianze che ha a disposizione, cerca lo sconosciuto in fuga, Odetta si fa venire il dubbio che l’assassino non sia affatto sconosciuto e che non sia affatto in fuga.

Una confessione spontanea affronta il tema della realtà ingannevole e dell’ossessione per la perfezione. Un omaggio a qualche autore in particolare?
MT: Ho accennato prima ad Agatha Christie. Ovvio. Ma qui voglio parlare di Shakespeare. Mi rendo conto che può sembrare, per un verso, irriverente e, per un altro, presuntuoso. Ma l’ossessione per la perfezione è uno dei temi che Shakespeare affronta con una profondità che mi ha sempre al tempo stesso emozionato e turbato: la perfezione è là; l’eroe non deve fare altro che raggiungerla. Naturalmente, il percorso verso la perfezione di tanti eroi shakespeariani non ha nulla a che vedere con quello pieno di dubbi del quale parlavo prima. Al contrario, è un percorso dominato da certezze assolute, disseminato di delitti, sporco di sangue. Che importanza ha? La perfezione è al di là di quei delitti e di quel sangue. A guardar bene, le parole che le ho appena dette potrebbero essere la sintesi di molte tragedie di Shakespeare. Per i protagonisti di quelle tragedie la realtà è ingannevole perché non sanno vedere il male.
Ma anche Odetta, con tutti i suoi dubbi, con tutta la sua tensione al conoscere, deve ammettere, a metà del suo percorso di conoscenza in questo romanzo, di non essere stata capace di riconoscere il male. In quella domenica di luglio nella quale, invece di godersi il mare, è costretta a starsene al commissariato di Terracina per fare il quadro della situazione mettendo insieme il poco che sa dell’accaduto, lei un po’ irride il commissario, un po’ fa pesare la sua superiorità culturale e tende a gigioneggiare, ma quando esce da quell’ufficio, è lei ad avere la coda tra le gambe. Sono bastate poche parole del commissario per farle capire che, nei suoi vent’anni di vacanze in quella allegra e serena “casetta” del Circeo, non aveva capito niente di ciò che la circondava: non aveva saputo vedere il male, che pure c’era ed era a due passi da lei. È talmente scossa dalla scoperta di quanto la realtà fosse stata ingannevole per lei che ha bisogno di avere vicino a sé un’amica fidata. Appena esce dal commissariato, non perde un minuto e telefona ad Anita, una sua vecchia amica (l’avevamo conosciuta già nei Due perfetti sconosciuti); e, quando lei arriva, le spiega che l’aveva chiamata «per riprendere il contatto con una realtà vera: una realtà vera e non immaginata». «La cosa migliore – le spiega – mi è sembrata ricominciare dal rapporto con una persona della cui consistenza potevo fidarmi in modo assoluto. Sì, non mi viene altra parola che consistenza: tu sei tu».
Ma c’è un altro motivo per il quale mi richiamo a Shakespeare: quante volte una sua tragedia comincia con alcune battute comiche? Romeo e Giulietta, per esempio, comincia con battute che potrebbero sembrare addirittura di una farsa: sono scritte per provocare risate, grasse risate. Beh, anche Una confessione spontanea comincia in modo leggero. Il dialogo di Odetta con il commissario raggiunge, in certi momenti, proprio il tono della farsa: penso alla battuta di Totò citata da Odetta e scambiata dal commissario per una frase di Mussolini; alle divagazioni già citate sulla «merda busa», a certe osservazioni che Odetta fa sui suoi vicini o alle altre che dedica al naso del commissario e persino alle sue funzioni intestinali. Poi però arriva il brutto. Dal momento in cui Odetta comincia il suo dialogo con Anita, la commedia si trasforma in tragedia: Odetta infatti scopre a poco a poco che, a due passi dalla sua “casetta”, qualcuno ha preteso di compiere un cammino verso la perfezione e, come quello di certi eroi shakespeariani, quel cammino si è sporcato di sangue.

Uno dei protagonisti, il professor Granati, è un uomo misterioso e camaleontico. Mi permetta la domanda un po’ alla Odetta: qualche elemento autobiografico?
MT: In realtà Odetta scopre a poco a poco che tutti i suoi vicini del Circeo sono un po’ misteriosi e camaleontici. Ma non voglio eludere la sua domanda. Direi che in Granati ho riversato alcuni elementi autobiografici, nonostante queste sue caratteristiche. Granati è un gran camminatore, come me. Granati è un gran nuotatore, come me: non avrei potuto scrivere alcune battute del romanzo se non sapessi che cosa significa nuotare per chilometri all’altezza delle boe che, nella parte sabbiosa del litorale del Circeo, segnalano i duecento metri dalla riva. Granati passa la maggior parte del suo tempo a leggere, come me. Infine cucina il pesce alla brace in modo sublime, me lo lasci dire senza falsa modestia, proprio come me.
A questo proposito, vorrei concludere questa mia risposta con una nota di vita vissuta. Due anni fa è uscita la mia raccolta di poesie Il cuore in tasca. Nei giorni scorsi ho finito le presentazioni di questo libro, cominciate ad aprile del 2017 nel Salone Borromini della Biblioteca Vallicelliana di Roma, con un piccolo tour nel sud Italia. Ebbene, lo sa qual è la poesia che più ha eccitato la fantasia di coloro che, da nord a sud, hanno partecipato alle presentazioni? Glielo dico io: La pianticella di limone nano. Se qualcuno ha già letto il libro o lo sfoglia mentre comincia la presentazione, mi chiede di leggerla. Se la leggo, le domande finali riguardano quasi sempre questa poesia. E sa di che cosa parla? Parla, sì, della mia fraternità con una pianta che è stata in difficoltà e che ha resistito a una forte grandinata; ma, a un certo punto, descrive il modo in cui si dovrebbe preparare il salmoriglio per cucinare il pesce azzurro, sgombri per esempio, sulla brace. Una vera e propria ricetta in versi, con un ritmo che in alcuni punti è quasi “ballabile”. Ne Il cuore in tasca ci sono poesie che parlano del peso della storia, che parlano di vita e di morte, che parlano di bellezza, di miti, persino del destino stesso della poesia: a quest’ultima tengo molto; è la Dichiarazione di uno dei magi, che aveva sbagliato strada. Ma tutti, che magari si sono emozionati fino alle lacrime per questi altri temi, sono attratti dalla ricetta per cucinare il pesce azzurro alla brace. Comunque sia, le assicuro, il professor Granati usa gli stessi aromi che io suggerisco in quella poesia. Ha ragione lei, ho riversato un bel po’ di elementi autobiografici in quel personaggio. Poi, naturalmente, come ogni altro personaggio, lui fa un po’ come gli pare.

Una confessione spontanea
di Michele Tortorici
Manni Editori

Michele Tortorici, originario dell’isola di Favignana, è nato nel 1947 a Trapani e vive a Velletri. E’ poeta e scrittore.
Con Manni Editori ha pubblicato le raccolte poetiche La mente irretita (2008, tradotto in Francia per Vagabonde nel 2010), Viaggio all’osteria della terra (2012), e Il cuore in tasca (2016).
Nel 2013 ha pubblicato sempre con Manni il romanzo Due perfetti sconosciuti, apparso in Francia nel 2014 con il titolo Deux parfaits inconnus (Chemin De Ronde) e molto apprezzato dalla critica.

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