Dal 15 febbraio apre KunstRaum Goethe, il nuovo spazio interdisciplinare del Goethe-Institut di Roma in via Savoia. Qui, attraverso mostre e installazioni, ma anche performance, dibattiti e laboratori ci si interrogherà sui temi più sentiti della nostra attualità con lo scopo di stimolare la ricerca e il confronto tra artisti, ricercatori e cittadini. Il luogo sarà dedicato all’arte contemporanea in tutte le sue espressioni, dalle arti visive e digitali fino all’architettura e l’urbanistica. Sarà per Roma un nuovo punto di incontro indipendente, un luogo aperto a nuove forme espressive, idee e contaminazioni.
Per il 2018 KunstRaum Goethe sarà curato da Valentino Catricalà, con cui sono stati individuati tre temi di ricerca che connoteranno le mostre e le attività dello spazio: incertezza, equilibrio e tecnologia.
Ad inaugurare KunstRaum Goethe sarà la mostra
DELL’ABITARE INCERTO
Dal 15 febbraio al 29 aprile
KunstRaum Goethe
Via Savoia 15
00198 Roma
Ulf Aminde, Andreas Lutz, Vittorio Messina.
A cura di Valentino Catricalà
Opening talk alla presenza degli artisti giovedì 15 febbraio 2018 alle 18 presso il KunstRaum Goethe, Via Savoia 13/15, Roma. Ingresso libero, traduzione consecutiva.
Orari
Orari di visita: lun 14–19 | mar mer gio ven 9–19 | sab 9–13
Chiusure straordinarie per Pasqua, dal 30 marzo al 2 aprile e il 25 aprile.
“Abitare” è un termine oggi che caratterizza la nostra situazione esistenziale contemporanea. Una condizione che coglie da una parte una riflessione filosofica generale sull’ontologia dell’essere e dall’altra può essere una chiave interpretativa della nostra situazione storico-sociale.
Abitare è qui inteso non – o non solo – nella sua accezione di significato linguistico: il “vivere in un luogo fisico”. Ma piuttosto nella sua accezione filosofica: quella che il filosofo tedesco Martin Heidegger sintetizzava con la frase: “L’abitare è il modo in cui i mortali vivono sulla terra”. Un modo caratterizzato come spazio di frontiera, un frammento di congiunzione fra due o più mondi dove la fisicità del luogo vive in un tempo quasi sospeso, come tensione di possibilità del nostro incerto abitare (la casa, la terra, il mondo).
È ciò che troviamo in Habitat con varchi in una regione piovosa, l’opera di Vittorio Messina qui esposta, un nuovo approdo del percorso delle “celle” che l’artista porta avanti ormai da più di trent’anni. La cella è per Messina un concetto rappresentativo della condizione esistenziale del nostro abitare, un luogo simbolico che di volta in volta prende forma diversamente in base allo spazio in cui è posta, attraverso dei moduli sempre rimodulabili. La cella accoglie ogni volta elementi diversi del nostro vivere quotidiano intrecciati a elementi della fredda architettura industriale, elementi che vengono posti insieme spesso appoggiati, spesso appesi, spesso tenuti da instabili pinze e morsetti. La cella, come concetto e come entità fisica, diviene così l’emblema del transito, di quell’instabilità dell’abitare, di quella linea tra un non ancora e un già stato della tecnica, quel luogo di mezzo mai stabile tra razionalità e animalità. In questo modo il lavoro di Messina si pone come luogo di congiunzione tra una concezione dell’abitare come concetto ontologico generale e una sua determinazione storica attraverso la decadenza della nostra architettura industriale.
Come controparte tedesca troviamo il lavoro di Andreas Lutz, Wutbürger. “Wutbürger” è un neologismo coniato, sembra, dal giornalista tedesco Dirk Kurbjuweit nel 2010 e che sta a significare cittadini (Bürger) inferociti (Wut). Tale parola vuole identificare un malcontento crescente per la politica, per la crisi economica e l’impoverimento delle classi borghesi, rappresentando i cittadini medi che inferociti si riuniscono nelle strade. L’artista ha ripreso questa espressione per definire il decadimento di una certa classe borghese nata nel dopoguerra. Un decadimento che rappresenta il fallimento dell’uomo medio, in questo caso tedesco, e che viene rappresentato dall’artista attraverso una videoinstallazione di una performance di cinque ore, presentata all’interno di un box.
L’abitare incerto tocca anche classi sociali definite come emarginate che non rispettano i canoni visivi e lavorativi definiti dalle classi medie. Tale emarginazione non rappresenta un decadimento, come nell’opera di Andreas Lutz, ma definisce una instabilità di vita, condizione esistenziale normale e accettata da una grossa fetta della popolazione occidentale. Il video Weiter (2004, “keep going”) di Ulf Aminde si presenta come una danza, un gioco, di un gruppo di street punk che a suon di musica giocano al gioco delle sedie. In una ambientazione decadente, composta da prati con delle rovine di palazzi, i punk danzano intorno alle sedie ogni volta cadendo, sbattendosi l’un l’altro, rompendo quasi tutte le sedie ma mostrando una contentezza e un godimento continuo. L’instabilità è qui vista come una forma positiva di vita, come una condizione alla quale ambire.
Valentino Catricalà,
curatore della mostra