A pochi giorni dal match tra Roma e Lazio mi interrogo, con amletica domanda, se il Derby sia stato un perfetto esempio di vergogna o di coerenza. L'essere o il non essere della "res" calcistica.
Non mi interessa l'analisi tecnica della partita, quanti calci d'angolo ci siano stati, quali siano state le azioni più significative. Per assurdo, da romanista ferito, non mi interessa neanche a chi sia andata la palma della vittoria.
Mi interessa invece pensare che in quelle stesse ore in cui il pallone la faceva da padrone, ad appena 100 km di distanza un'intera regione viveva il suo incubo peggiore. Non sono mancati coloro che, per rispetto di tanta sofferenza, auspicavano di non scendere in campo. Ma ciò non è stato possibile.
In nome del motto "lo spettacolo deve continuare", o del più plausibile "dobbiamo continuare ad incassare denaro" alle 15:00 di sabato 11 aprile era tutto pronto per il calcio d'inizio. Al braccio la fascia nera nel ricordo del lutto nazionale. Società, calciatori, tecnici e tifosi si erano comunque ritrovati per dimostrare, qualora ce ne fosse bisogno, che lo sport può unire nei momenti difficili e che il calcio può essere giocato all'insegna del fairplay e nel rispetto di chi, senza cadere nella retorica, in quel momento aveva problemi più grandi da affrontare di un fuorigioco fatto male o di un'uscita a vuoto.
Le prime avvisaglie del completo fallimento di tutti i buoni propositi ci sono state fra il primo ed il secondo tempo quando, fra il tecnico della Roma Spalletti ed un dirigente della Lazio Tare, parte un siparietto per niente simpatico che porterà all'espulsione per entrambi.
Gli animi si scaldano e la tensione sale. Gli "atleti" ormai pervasi da furore agonistico dimenticano che stavano giocando con il lutto al braccio e al termine dei secondi 45 minuti di gioco si lanciano in un carosello di insulti e percosse sembra, e sottolineo sembra, continuate negli spogliatoi. Al riparo dagli sguardi indiscreti di telecamere e di qualche milione di telespettatori.
Un solo grido poteva levarsi unanime: vergogna! Vergogna perché è inconcepibile che per 90 minuti 22 adulti, strapagati e miliardari, non sappiano mettere da parte antiche rivalità. Vergogna per quella solita stupida minoranza che deve replicare sugli spalti il fulgido esempio espresso dai giocatori. Vergogna….Vergogna…
Eppure, a bocce ferme ed animi placati, cosa abbiamo da rimproverare a questi poveri ragazzi? Gli hanno detto che il Derby lo avrebbero dovuto giocare per forza e loro quello hanno fatto. Senza ipocrisie. Coerenti nell'interpretazione sanguigna e becera di un derby, vista la classifica di entrambe, tornato povero. Comunque Derby, quello che, anche con tutti gli obiettivi falliti, vincendolo, ti salva la stagione.
E se Derby deve essere che Derby sia. Giù insulti, giù botte. Senza vergogna. Quella invece la sto provando io che, nonostante calciopoli, le partite truccate e l'incapacità da parte di società e giocatori di gestire momenti del genere ancora mi ritrovo settimanalmente a tifare, incollato alla tv.
Che vergogna….Vergogna? Ma no…solo coerenza.