La nuova settimana al TBM si presenta ricca di spettacoli dai registri classici e al contempo divertenti. Non solo: si riflette sulla dimensione della donna. Proprio il 25 di questo mese, infatti, si celebra la Giornata Internazionale della violenza sulle donne” e il monologo di Dostoevskij viene rappresentato ad hoc. Dal 21 al 26 novembre andare a teatro sarà un piacevole intrattenimento e una circostanza per pensare
Mercoledì 22 e giovedì 23 novembre “La monaca di Monza – alias Suor Virginia Maria | alias Marianna De Leyva”, produzioni PACTA.dei Teatri, è in programma al TBM. Tratto da Manzoni, Diderot, Stendhal e Gli atti del processo lo spettacolo vanta la drammaturgia di Annig Raimondi e sarà interpretato da Alessandro Pazzi, Annig Raimondi ed Eliel Ferreira de Sousa. L’interno di un convento è la scena della storia. Una grata immensa, un divisorio, un ostacolo per una storia d’amore. Qui è la Monaca di Monza, personaggio complesso e misterioso, che riassume e rievoca molte caratteristiche dei diversi personaggi delle monache di clausura fra il ‘600 e l’800, dalla cronaca scandalosa alla letteratura e viceversa, da Enrichetta Caracciolo a la Religieuse di Diderot, alle monache napoletane portate in luce da Stendhal. Marianna De Leyva, nata a Milano nel 1575 da famiglia nobile, divenuta poi Suor Virginia Maria e coinvolta in uno scandalo che sconvolse la città di Monza, è stata resa immortale dal Manzoni che, unendo verità storica e finzione letteraria, nei Promessi Sposi la chiamò Gertrude, la Monaca di Monza o la Signora, inquietante “tessitrice di trame”. Sulla vita della figura storica di Suor Virginia Maria esistono molti documenti. Attingendo agli atti del processo che la riguardò, la messa in scena vuole evidenziare come la sua storia non si concluse con la sua scomparsa. Era ancora viva e il cardinale Federico Borromeo, che l’aveva inizialmente punita murandola a vita in una minuscola cella, già abbozzava su di lei i titoli di una sua biografia, come esempio di verace penitente. Certo, non si riuscirà mai a conoscere la verità. Proviamo però a sollevare una domanda, a riportarla in vita attraverso la relazione dei fatti, e l’indagine che ci permettono Storia e Letteratura. Passioni e delitti. Stregoneria e travestimenti. Relazioni processuali, narrazione dei “successi” di famiglie illustri o delle “disgrazie” dei poveri diavoli. Alla turbolenza del conflitto interiore e alla dinamicità delle vicende, si contrappone, quasi come un secondo processo, la staticità inquisitoria ma anche trasgressiva di uno sguardo maschile che interviene e che penetra nella più esclusiva società di donne, in questo “luogo di donne”, o loro prigione. La scena diviene così la cornice di un sublime femminile con tragiche eroine, ma anche cornice delle atrocità commesse dalla giustizia e dai suoi giudici a carico di persone accusate, torturate, riconosciute colpevoli senza prove definitive. La Monaca, che dopo la carcerazione riuscì a vivere ancora a lungo, diventa emblema di un’opposizione ai compromessi e alla violenza della società, uno spirito moderno in cerca d’identità e libertà, portavoce di una contestazione verso i poteri civili e politici. Scene: Isolde Michelazzi; Musiche originali: Maurizio Pisati; Costumi: Nir Lagziel; Disegno luci: Manfredi Michelazzi; Assistenti alla regia: Marianna Cossu, Stefano Tirantello e Bianca Tortato.
Segue “Plaza suite”, produzione La Contrada – Skyline srl, in scena martedì 21 novembre. Il testo di Neil Simon è tradotto da Roberta Conti ed è diretto da Ennio Coltorti, il quale dirige Corrado Tedeschi e Debora Caprioglio. “Ah, se queste pareti potessero parlare…!” quante volte l’abbiamo sentito dire o l’abbiamo pensato noi stessi. Beh, Neil Simon l’ha fatto: ha fatto parlare una stanza; una suite dell’Hotel Plaza. Ma qui nel titolo ad essere “protagonista” è una suite (simbolo di successo e appagamento sociale). E le suite, si sa, ne hanno viste di tutti i colori, ma non ne possono parlare; a meno che non si stia in teatro; dove per loro possano parlare le persone che le hanno abitate. Ma soprattutto che queste persone siano interpretate da attori dal nome sinonimo di bravura e garanzia; come, del resto, quello dell’autore (é Simon è l’autore moderno più rappresentato nel mondo). Corrado Tedeschi e Debora Caprioglio interpretano tre coppie (diverse), in tre situazioni (diverse), in una suite (la stessa) di un hotel considerato come l’Olimpo: la dimora degli Dei. Lusso, agi, benessere che tuttavia non impediscono imbarazzi, problemi, inciampi. Qui tre coppie diverse, tre problemi di coppia diversi con un unico filo conduttore: una stanza dell’Hotel Plaza di New York. Il primo episodio rappresenta la crisi della coppia che sfocia nel tradimento e nella separazione. I due coniugi si ritrovano nella stessa Suite della loro luna di miele e tentano di rianimare il matrimonio ormai definitivamente spento. Nel secondo episodio la coppia protagonista è clandestina, due vecchi compagni di classe: lui famoso produttore, lei felice “mogliettina-modello” e la stanza è sempre il luogo del loro ritrovo dopo anni. Il terzo episodio è il più esilarante. Una coppia, logorata dal tempo, che tenta di convincere la figlia a sposarsi. Ma il giorno fissato per celebrare le nozze, la promessa sposa si chiude in bagno e non vuole uscire. In una commedia rappresentare l’inciampare di una qualunque persona può già far sorridere ma se questi inconvenienti li vive chi non avremmo mai pensato ne fosse vittima la situazione diventa esilarante. Dietro il puro e alto divertimento assicurato dalle commedie di Simon c’è sempre la dura verità della vita. Una durezza che la saggezza popolare
combatteva con il saggio detto: “Canta che ti passa”. Simon sembra dirci invece: “Ridi, ridi, ridi… che ti passa!”. Scena: Andrea Bianchi.
“Cosa ti cucino amore?” ci porta verso il fine settimana. Venerdì 24, sabato 25 novembre e domenica 26 novembre la commedia, produzione Seven Cults e Laboratori Permanenti, è scritta da Linda Brunetta che dirige Caterina Casini, Maria Cristina Fioretti e Carlina Torta. Il solito scherzo del destino riunisce a casa di Silvia, la sera del suo compleanno, la svagata vicina Eleonora e Doga, una interprete turca di passaggio, unica ospite del suo improvvisato Bed & Breakfast. Il marito di Silvia, Tito, è il grande assente, di cui si parla continuamente. Solo alla fine le due invitate, che hanno fatto di tutto per divertire la “povera” Silvia, capiranno dov’è sparito Tito e nello stesso istante perché sono state coinvolte nei preparativi di una festa senza invitati. Una sarabanda di equivoci, fraintendimenti, colpi di scena. Uno humour sarcastico e surreale, che gioca con il linguaggio, i luoghi comuni, le convenzioni, le apparenze, svelando la doppia e tripla natura dei personaggi, allo stesso tempo profondi e superficiali, crudeli e innocenti, scaltri e ingenui. L’amore, la morte, la pasta per le tagliatelle, la danza del ventre, tutto ha lo stesso peso, entra a far parte del gioco, nell’unità di uno spazio scenico, che ha la dimensione molto femminile di una semplicissima cucina, dove può succedere e accade di tutto. Gli ingredienti della commedia e della vita delle tre donne e si mescolano, si impastano, si mangiano e si buttano, come quelli per preparare i cibi della festa sul grande tavolo che domina la scena. Nell’arco di poco più di un’ora, assolutamente in tempo reale, le tre donne, che fino ad allora nemmeno si conoscevano, si scontrano e si confrontano, si alleano e si detestano, ridono e si commuovono, inventano storie, leggende, bugie e grandi verità, trasformandosi completamente e alla fine trovando anche un modo per stare insieme affrontando allegramente una nuova vita. È uno spettacolo comico, nella direzione stilistica dello humour nero inglese, dove, coniugando understatement e situazioni paradossali, non si ricorre alle facili battute, ma si coinvolge lo spettatore in modo sottile, spiazzandolo e sorprendendolo, per ritrovare un’ironia al femminile moderna e originale. Scene: Tiziano Fario.
“La mite”, produzione Teatro d’Imbarco, conclude la settimana. Venerdì 24, sabato 25 novembre e domenica 26 novembre. Il monologo di Fëdor Dostoevskij, declamato da Beatrice Visibelli, vanta l’adattamento e la regia di Nicola Zavagli. Un intenso monologo sulla violenza domestica che il regista trae dal racconto dello scrittore russo, per l’interpretazione appassionata di Beatrice Visibelli. Dando voce al carnefice, la sensibilità dell’attrice si immergerà nei labirinti oscuri della sua mente, con un inedito e sconcertante rovesciamento di prospettive e di ruoli. Beatrice Visibelli affronta il rapporto uomo/donna nel suo schema maledetto di vittima e carnefice. E lo fa in un originale ribaltamento di ruoli, non nella parte della donna/vittima, ma provando a immergersi nei labirinti della mente dell’uomo/carnefice. E per allontanarsi dalla cronaca (che inesorabile continua a denunciare lo stillicidio delle vittime) sceglie un monologo scritto dal più profondo indagatore dell’animo umano: Dostoevskij. Un monologo polifonico dove i pensieri diventano un flusso di parole che tentano ostinatamente di capire il perché di un rapporto dominato dal silenzio, usato come arma di potere e di tortura psicologica. E dove infine in un crescendo incalzante emerge il carattere tutt’altro che “mite” della giovane donna. “A volte sentivo per lei una tormentosa pietà, sebbene talora mi sorridesse proprio l’idea della sua umiliazione.” Un capolavoro urgente per capire dal profondo il nostro tempo. Ispirato a un caso di cronaca, questo lungo racconto è stato pubblicato dall’autore nel 1876, nel numero di novembre del suo Diario di uno scrittore a cadenza mensile. In Italia è arrivato per la prima volta nel 1919. “Immaginate un uomo la cui moglie, suicidatasi alcune ore prima gettandosi dalla finestra, sia stesa davanti a lui su un tavolo. L’uomo è sgomento e ancora non gli è riuscito di raccogliere i propri pensieri. Ecco, parla da solo, si racconta la vicenda, la chiarisce da se stesso”. Così scrive Dostoevskij nel presentare l’opera ai lettori. L’uomo, quarantuno anni, ex capitano cacciato dal reggimento con l’accusa di viltà e ora titolare di un banco dei pegni, non è un inveterato criminale, ma come l’Uomo del sottosuolo è divorato dalla rabbia e dal rancore. Ha sposato una sedicenne di umili condizioni e la sua avidità senza scrupoli lo ha portato a considerare la moglie solo una sua proprietà. Il racconto restituisce con sconcertante realismo il suo soliloquio interiore che alla fine, tra contraddizioni, accuse rabbiose e false giustificazioni, lo avvicinerà, poco a poco, alla verità.
Teatro Tor Bella Monaca – Arena Teatro Tor Bella Monaca
Via Bruno Cirino angolo Via Duilio Cambellotti raggiungibile con Metro C o Linea Bus 20
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Telefono 062010579 (dalle 10:30 alle 19:30)
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UFFICIO STAMPA TEATRO TOR BELLA MONACA
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Maresa Palmacci
Fonte: Maresa Palmacci