Da venerdì 4, e ancora fino al 18 febbraio, sul palcoscenico del Teatro dell’Opera viene rappresentato il fiore all’occhiello di Gaetano Donizetti, “L’Elisir d’amore”, che con il suo spirito radioso, primaverile, grazioso e giocondo investe il suo pubblico di una sana e magica ilarità.
Con la direzione d’orchestra del Maestro Bruno Campanella e la regia del napoletano Ruggero Cappuccio, al suo debutto al Lirico capitolino, questo Elisir si propone in una veste innovativa, con una nuova produzione in collaborazione con la San Francisco Opera, per puntare, quindi, anche ad un pubblico internazionale.
La celebre opera di Donizetti, composta in soli quattordici giorni, ebbe un grandioso successo fin da subito, quando esordì a Milano, al Teatro della Cannobiana, il 12 maggio 1832; al Teatro Costanzi fu rappresentata solo nel 1883.
Questo “melodramma giocoso” in due atti rientra di diritto nella tradizione dell’opera comica ed è considerato un gioiello dell’opera romantica, nato dal fortunato incrocio tra Donizetti e il poeta Felice Romani.
Il positivo riscontro che l’Elisir ha, da più di un secolo e mezzo a questa parte, sul suo pubblico è dovuto certamente alla tipica melodia donizettiana che, risaltando la vena buffa del compositore bergamasco, capace di trasformare con agilità la risata in un sorriso, ha fatto innamorare immediatamente qualunque appassionato di lirica.
Innumerevoli le versioni che si sono alternate nel corso degli anni, alcune particolarmente attaccate alla tradizione, altre più originali; ma, a prescindere dall’allestimento, il geniale equilibrio tra buffo e malinconico che Donizetti è riuscito a raggiungere ha sempre avuto un certo fascino sullo spettatore di tutti i tempi e di tutte le età. La celebre storia di Adina e Nemorino, ambientata in un villaggio dei paesi baschi alla fine del XVIII secolo, ci fa appassionare fin da subito ai due pittoreschi personaggi che si inseguono nel loro grottesco amore. “Tutta la storia della lirica può essere ricondotta ad una triade, un lui, una lei ed un impedimento”. Così sintetizza il regista Cappuccio la modernità dell’Elisir d’amore, che mette in luce come, senza l’invenzione di un ostacolo, l’oggetto del desiderio, la tensione verso di esso, non esisterebbero.
“L’opera di Donizetti è l’espressione musicale di quanto gli esseri umani non amino ciò che hanno, ma amano ciò che gli manca”, continua il regista e scrittore napoletano, riferendosi alla vicenda: Adina, corteggiata da Nemorino, funge da regista sentimentale; lei lo respinge, costringendolo a ricorrere, come nella storia di Tristano e Isotta, ad un filtro magico che, benché fasullo, si rivelerà fatalmente efficace. Adina, dunque, comincia a considerare il povero contadino Nemorino soltanto quando crede di scorgere in lui indifferenza.
A vestire i panni di Adina Adriana Kucerovà e Rosa Feola, mentre Saimir Pirgu e Ivan Magrì si alternano in quelli di Nemorino; Fabio Maria Capitanucci e Gezim Myshketa interpretano Belcore, Alex Esposito e Simone Del Savio l’illusionista Dulcamara, colui che vende il filtro d’amore al povero Nemorino. Le scene sono di Nicola Rubertelli e i costumi di Carlo Poggioli.
La scenografia, che nell’immaginario collettivo si associa al mondo della campagna, in questo nuovo allestimento di Cappuccio, si basa su di una spazio bianco, semplice e mutevole, in cui si inseriscono di volta in volta dei cromatismi. Un modo “meno verista e bucolico” per rappresentare il gioiello donizettiano capace magicamente di far sorridere e commuovere allo stesso tempo.