Sarà in scena dal 12 al 14 maggio al Teatro di Villa Lazzaroni lo spettacolo LA PAURA MANGIA L’ANIMA di Reiner Werner Fassbinder, con Caterina Casini e Wael Habib e con la partecipazione degli allievi – attori di Fondamenta La Scuola Dell’Attore. Traduzione e regia di Alberto Fortuzzi.
LA PAURA MANGIA L’ANIMA
di Reiner Werner Fassbinder
con Caterina Casini e Wael Habib
e con la partecipazione degli Allievi-Attori di Fondamenta
traduzione e regia Alberto Fortuzzi
assistente alla regia Mauro Silvestrini
coproduzione Laboratori Permanenti e Theater Rotwelsch
Teatro di Villa Lazzaroni
12|14 maggio 2023
venerdì e sabato ore 21 – domenica ore 17.30
Dal 2021 Laboratori Permanenti in collaborazione con Theater Rotwelsch di Stoccarda lavora al progetto La paura mangia l’anima di Rainer Werner Fassbinder, elaborazione teatrale dal film “AngstessenSeeleauf” (1973) e lo presenta per la prima volta nei teatri italiani.
Il progetto è stato in residenza a Sansepolcro a maggio e agosto 2021, a Officine Caos di Torino a luglio 2021, con Diesis Teatrango presso il Teatro Comunale di Bucine a settembre/ottobre 2021 e con SettimoCielo presso il Teatro La Fenice di Arsoli ad ottobre 2021 e 2022.
A luglio 2022 La paura mangia l’anima è stato ospite al Festival Internazionale di Teatro ANFASSE di Marrakech.
Si tratta di un progetto site-specific aperto e malleabile, adattabile allo spazio che lo ospita e che si sviluppa in stretta relazione e interazione con l’ambiente che lo circonda. Infatti il progetto è aperto alle comunità che incontra: la composizione del Coro viene ogni volta costruita con le persone vicine al teatro ospitante, affinché vivano la vicenda insieme ai protagonisti.
Si tratta quindi di un importante momento che unisce teatro e socialità, un fare teatro che s’innesta in una comunità e che cerca, attraverso il linguaggio della scena, di ricreare un collante comunitario che nel contesto storico e culturale che stiamo vivendo è andato perduto.
Mettere in scena La paura mangia l’anima significa sensibilizzare la comunità partecipante su tematiche quali il razzismo e l’esclusione. Fassbinder scrive questo testo subito dopo l’attentato alla rappresentanza israeliana da parte del gruppo terrorista palestinese Settembre nero, durante le Olimpiadi di Monaco di Baviera del 1972.
Il valore dell’intuizione del regista tedesco non risiede solo nell’aver smascherato l’ipocrisia tedesca di quel tempo, ma nell’aver saputo raccontare come sia nato quello che possiamo oggi definire post-razzismo.
Il post-razzismo, non solo tedesco ma europeo, fenomeno sociale purtroppo ancora attuale, trova le proprie ragioni in luoghi sociali ben definiti, semplici bar o – come ci mostra Fassbinder – su una rampa di scale dove un gruppo di donne delle pulizie, nei pochi minuti di pausa loro concessi, accusa tramite stereotipi e luoghi comuni ciò che considerano diverso, elevandolo a causa – ed effetto – della loro condizione precaria.
Ma nel tempo del coronavirus un altro tema di eccezionale attualità fa capolino tra le righe del testo, ed è il tema della distanza – distanziamento sociale, si direbbe oggi. Ali ed Emmi, lui extracomunitario, lei donna non più giovane e comunque molto più anziana di lui, sono due persone che, secondo una legge sociale non scritta ma “sacrosanta”, dovrebbero tenersi a distanza. Invece i due si incontrano, si cercano, si amano, si sposano addirittura, annullando – contro tutti i tabù – la distanza che la società vorrebbe imporre loro.
La società, i bravi cittadini non rimangono a guardare, reagiscono. E lo fanno con la distanza, unica difesa immunitaria per la sola società che sembra loro possibile: una società impaurita, incapace di accettare i diversi. Li giudicano, li evitano, fanno di tutto per espellere questi due esseri umani così diversi, virus refrattari alla normalità, mettendo in atto una difesa immunitaria così forte che potrebbe causare la morte stessa della società “democratica” che sembrano voler difendere. Il trauma del diverso viene superato solo nel momento in cui la convenienza “prende il posto del ribrezzo”, come dice uno dei personaggi.
La sceneggiatura di La paura mangia l’anima viene riproposta come testo teatrale più che mai attuale, monito – come il film – a una società deviata dalla paura, società nella quale – come dice il titolo – la paura si nutre dell’anima stessa fino a divorarla.
Ufficio stampa Teatro di Villa Lazzaroni
Fonte: Ass.Culturale Laboratori Permanenti