“Elephant Walk” allo Spazio Recherche il 10 e 11 marzo

Nuovo appuntamento allo Spazio Recherche il 10 e l’11 marzo con ELEPHANT WALK di Marco Aiello e Claudio Pomponi, uno studio sull’assenza, sullo spazio vuoto, sullo smarrimento iniziale come verità universale.

Elephant Walk nasce dalla sfida di voler affrontare quotidianamente lo spazio vuoto e l’assenza di un testo, riconoscendo lo smarrimento iniziale come verità universale e invito a procedere senza l’ambizione di risolversi. È il viaggio che ogni individuo è chiamato a compiere quando inciampa nel miracolo del dramma che lo ridesta di fronte al sentiero e alla natura tutta. Ogni passo è una prova che lo inizia alla fatica della ripetizione, quindi al rito.

“Fratello, vuoi andare nella solitudine? Colui che cerca finisce facilmente per perdersi.”

L’attore lotta per celebrare l’evento. Supera se stesso attraverso la fatica fisica. Apre al sacro.

1. “Forse bisogna rompergli i timpani perché imparino a udire con gli occhi?”
La prima prova vuole l’attore bendato e abbandonato all’assenza di coordinate spaziali ulteriormente offuscate da una musica incalzante e minacciosa; l’abisso in cui cade gli svela la gravità come condizione necessaria a evolvere. “Sono mani invisibili quelle che più orribilmente ci squassano e ci piegano.” L’attore, privato della vista, è assalito da forze invisibili ma presenti che lo mandano più volte a tappeto, senza però mai averlo. Il duello cessa e con esso la musica che chiama la ritirata.

2. Un approdo rivelatorio: la pietra
Estenuato e con lo sguardo occultato, si trascina fino a incappare – non a caso – in una pietra, presenza viva che lo attendeva fin dall’inizio per mostrargli la via. Al contatto con essa, il ritmo del tamburo sancisce l’inizio di una marcia. “Così persuaso dell’origine esclusivamente umana di tutto ciò che è umano, cieco che desidera vedere e che sa che la notte non ha fine, egli è sempre in cammino.” (da Il mito di Sisifo, Albert Camus)

3. La pia capanna
L’attore entra in una capanna nella quale ritrova un tepore uterino. Il suo rifiatare precede la voce che si fa canto. “Va’ fuori, dalle rose e dalle api e dagli sciami di colombe e soprattutto dagli uccelli canori: per imparare da loro a cantare!” Quindi esce dal giaciglio e agisce lo spazio, nuovo nel corpo e nello sguardo femmineo.

4. “Ma il peggiore nemico che puoi incontrare sarai sempre tu per te stesso; nelle caverne e nelle foreste tu tendi l’agguato a te stesso.”
Conquistato il centro, l’attore percepisce una minaccia e si mette in difesa con ruggiti totemici che lo liberano.

5. “Tu vai per il tuo sentiero della grandezza.”
Una musica si fa luce e gli suggerisce nuovamente la direzione. L’attore s’incammina, poi riprende la corsa.

6. Quindi l’arancia
Il frutto rotola incontro all’attore che lo prende e lo sbuccia formando a terra un cerchio con la scorza. Si posiziona al centro e seduto ne mangia. La musica si dissolve.

7. “Ho imparato ad andare: da quel momento mi lascio correre. Ho imparato a volare: da quel momento non voglio più essere urtato per smuovermi. Adesso sono lieve, adesso io volo, adesso vedo al di sotto di me, adesso è un dio a danzare, se io danzo.”
Nel silenzio, la luce arrossisce all’avanzare dei tamburi che spingono l’attore ad alzarsi e ad accogliere l’eterno invito a celebrare l’evento coi testimoni tutti.

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Costo del biglietto:
10€ più 5€ di tesseramento obbligatorio alla nostra Associazione Culturale TestaccioLab

Per info e prenotazioni:
• 0689024414

Recherche
Viale dell’Acquedotto Alessandrino 42, Roma

Ufficio Stampa
Maresa Palmacci

 

 

Fonte: Maresa Palmacci

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