In scena al Vittoriano la mostra dedicata all’inconfondibile pittore catalano.
«Ogni mattina al risveglio provo un piacere supremo che scopro oggi per la prima volta: quello di essere Salvador Dalì e stupito mi domando che cos’altro farà di prodigioso oggi questo Salvador Dalì». Sceglie di presentarsi così Salvador Dalì: pittore, scultore, scrittore e designer del Novecento, maestro del surrealismo. L’autoproclamazione rispecchia totalmente la forte personalità dell’egocentrico ed eclettico protagonista, tanto che è superfluo ricordare quante volte si sia definito genio.
Il complesso del Vittoriano propone la mostra: Dalì. Un artista, un genio; dal 9 marzo al 1 luglio è possibile immergersi nel mondo daliniano attraverso olii, disegni, documenti, fotografie, filmati, lettere ed oggetti di vario tipo che ne ripercorrono la vita e con essa l’evoluzione artistica.
Mancava da 60 anni nella capitale una rassegna di alto livello riservata al poliedrico e volutamente bizzarro artista con la quale il Vittoriano spera di bissare i successi di Van Gogh dell’anno scorso e di Giotto due anni fa.
La grande esposizione, organizzata in collaborazione con la fondazione Gala-Salvador Dalì, indaga l’uomo-Dalì in tutte le sue realizzazioni artistiche: pittore, disegnatore, pensatore, orafo, cineasta e scenografo. In particolar modo essa si concentra sul legame, fino ad oggi trascurato, tra il pittore ed il nostro paese che è stato per lui fonte d’ispirazione e profonda influenza.
La struttura scenografica dell’esposizione cattura il visitatore già all’ingresso con una serie di divertenti scatti in bianco e nero del fotografo russo-americano Haslman che ritraggono l’eccentrico pittore con i suoi vistosi ed inconfondibili baffi ispirati a Velásquez, da sempre il suo tratto distintivo.
Nella prima parte della rassegna traspare la profonda ammirazione e l’ispirazione ai nostri maestri Michelangelo e Raffaello con i quali instaura una competizione per la supremazia nell’arte, ma anche ai vari Bernini, Piero della Francesca, Antonello da Messina e al Bramante.
Nella seconda ci si immerge nel suo inquietante universo attraverso le tele più famose: molto di più di un semplice gioco d’immagini, un surrealismo autentico come trascrizione poetica della realtà interiore, libera da quella esteriore e dai condizionamenti della ragione.
La terza, infine, attraverso una notevole ricerca d’archivio, segue Dalì nei suoi viaggi per l’Italia: soggiorni in ville lussuose, visite al giardino di Bomarzo, perfino una vespa Piaggio “autografata” nel 1962 a due studenti spagnoli suoi ammiratori. Inoltre, la presentazione rivela più di una collaborazione artistica prestigiosa; tra tutte quella con Luchino Visconti come costumista per lo spettacolo di Skakespeare As you like it in scena al teatro Eliseo nel 1948 con Vittorio Gasmann e un esordiente Marcello Mastroianni e quella con Anna Magnani per il progetto del film La carretilla de carne. Interessante e originale la riproduzione dei celebri abiti in maschera realizzati, in occasione del ballo de Beistegui di Venezia del 1951, dalla maison Dior per lui e Gala, moglie e musa ispiratrice.
Dunque, un’esposizione da non perdere che presenta un taglio particolare ed è ricca di spunti inediti per rivivere tutte le forme artistiche in cui si è espresso questo insolito dandy del nostro tempo, anagrammato come avida dollars dal teorico del surrealismo André Breton sul quale Dalì stesso ammette:«Meticolosamente Breton compose un anagramma vendicativo con quel mirabile nome che è il mio, ne ha fatto Avida Dollars. Non è stato forse un esito da grande poeta, tuttavia devo riconoscere che corrispondeva abbastanza bene alle mie ambizioni immediate di allora».