L’esposizione raccoglie alcune fra le più importanti opere del maestro, provenienti dalle più diverse parti del mondo, e si snoda fra le varie sale seguendo un percorso squisitamente cronologico. Protagonisti quasi assoluti, oltre alla pala pesarese, il Battesimo di Cristo e l’Ebbrezza di Noè, con un intenso ruolo anche per altre significative opere, fra cui l’enigmatica Allegoria sacra.
Il tutto acquista un suo mirabile equilibrio anche grazie all’opera del pittore veneto, che con la sua straordinaria luminosità, in quest’ambito tanto valorizzata da risultare quasi inquietante, si dimostra autore ancora oggi in grado di rischiarare menti e anime.
Pregevole anche il fatto di non aver esagerato con madonne e bambini, che del nostro sono stati un must, come si direbbe oggi, inquadrandone la produzione nel più ampio contesto del suo intero lavoro. Lavoro che si vuol presentare come un qualcosa di innovativo per l’epoca, facendo di Bellini non un un anziano modernista ma un effettivo punto di riferimento del nuovo pittorico che si stava sviluppando in periodo di pieno umanismo.
Quello che ne vien fuori – e che probabilmente in qualche modo converge con le intenzioni dei curatori – è di un artista che ha di fatto incarnato pienamente e meglio di chiunque altro la capacità di ancorarsi a saldi valori preesistenti per proiettarsi nel futuro. Là dove si rintraccia una sensibilità forse più arcaica che conservatrice, cantrice di un ordine ancora stabile senza essere più rigido, e che trova nella rappresentazione della natura e dell’uomo la possibilità di una superlativa armonia formale. Insieme all’impulso per la conquista di uno sguardo lucido e sereno verso nuove prospettive artistiche.
Scritto da VS