Roma, 18 giugno. Nella notte tra il 17 e il 18 giugno, su un muro di viale Regina Elena, vicino al Policlinico Umberto I, è apparsa la nuova opera di Laika, l’anonima artista che da più di un anno porta le sue opere per le strade della capitale.
Il poster è intitolato Wall of Shame (tr. “Il muro della vergogna”), e si presenta come un collage di commenti ripresi da vari Social Network e siti internet, con tanto di nomi e cognomi degli autori.
“Ho raccolto decine di commenti, pubblicati su pagine di informazione e gruppi di discussione, che trasudano del razzismo più becero e ripugnante”, ha spiegato Laika. “Ci sono persone che gioiscono per le morti in mare, gente che vomita odio nei confronti di ragazze e ragazzi italiani che hanno i genitori stranieri, chi inneggia alla violenza per la difesa della nazione contro una supposta invasione, chi riesce a prendersela addirittura con i bambini che vanno a scuola”, ha continuato l’artista.
Laika ha scelto, ancora una volta, un linguaggio secco e diretto per la sua opera. E nel descriverla è ancora più dura: “Ho voluto mettere su carta e muro lo schifo del mio paese, la sua parte peggiore, con tanto di nomi e cognomi, anche se non è che una goccia del mare di razzismo e ignoranza che c’è in Italia.
Queste persone non possono pensare di sversare il liquame di cui sono composti senza pagarne mai le conseguenze”.
Sul razzismo non esistono toni concilianti – “non è qualcosa da derubricare a ‘libertà di espressione’ e queste non sono solo parole al vento che si perdono nel web. Ogni giorno ci sono persone che soffrono, che sentono questo odio sulla propria pelle; ci sono delle vittime, sia dal punto di vista fisico che psicologico.
Quella che ho messo su carta è una forma di discriminazione assolutamente evidente a tutti, ma non è l’unica, anzi. Ne esistono molte altre e molto più subdole, contro le quali è importante che ci sia il nostro impegno, sia come società civile che come singoli”.
L’artista questa volta ci tiene a specificare la sua posizione netta: “Il razzismo si nasconde dietro il controllo supplementare in aeroporto a un uomo o una donna con la pelle più scura, nel linguaggio che identifica una categoria di lavoratori con una certa nazionalità, e quindi chi fa le pulizie diventa “la filippina”, o l’ambulante è per forza ‘marocchino’. È razzismo venir accusati di spaccio di stupefacenti senza alcuna prova e che ti vengano a citofonare solo perché i tuoi genitori non sono italiani. È razzismo quando a me, donna bianca, viene offerto uno stipendio di un tipo mentre a una donna nera se ne dà uno inferiore.
Sono solo alcuni esempi ma ciascuno di noi può trovarne altri, anche partendo dai nostri comportamenti che hanno un imprinting razzista e ‘razzializzante’ anche se non ce ne rendiamo conto e ci riteniamo aperti e tolleranti.
Qualcuno ha detto che l’unica razza è quella umana. Io non sono d’accordo: chi ha scritto i commenti che ho incollato sul muro, chi si riempie la bocca con questa melma rivoltante, chi crede di essere superiore a qualcun’altro solo perché, in modo del tutto casuale, è nato in un posto invece che in un altro e ha la pelle bianca, non ha nulla di umano”.
Fonte Ufficio Stampa Francesca Polici