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Il film della Resistenza di Roma

locandina_romacittaapertaAncora una volta, ascoltando la musica iniziale di "Roma città aperta", un brivido di commozione mi ha percorso la schiena. E mentre i nomi del cast andavano dissolvendosi in sequenza, al passare dei minuti mi immergevo nel clima tragico ed eroico del film, standomene comodamente appollaiato sulla poltrona.

Era il 1945 quando il giovane regista Roberto Rossellini decise di immortalare nella memoria del cinema la seconda guerra mondiale vissuta dalla capitale. Una guerra che aveva ferito gravemente Roma, che aveva spaventato e stremato i suoi abitanti. Ma i romani avevano anche e soprattutto lottato, trovando le forze dentro un'anima di resistenza che mai si era data per vinta. E tra gli atti di eroismo di un prete, di una banda di bambini e di un nazista disertore, anche quelli di vigliaccheria trovavano un senso, in qualche modo erano parte ed esaltavano il grande progetto di liberazione che stava per realizzarsi.

Il coraggio è il tema principe di "Roma città aperta", la pellicola che consacrò la bravura e la fama di grandi professionisti, attori, registi, produttori e sceneggiatori. Roma è invece la protagonista indiscussa dall'inizio alla fine, ruolo interpretato sfruttando anche la magnificenza del suo principale monumento cattolico, il Cupolone. Eccolo infatti svettare durante la larga e lenta panoramica della scena iniziale, girata dal viale sopra Trinità dei Monti, e consacrare quella finale, al Forte Bravetta, dove i titoli di fondo del film accompagnano il commosso commiato dei bambini dopo la fucilazione di Don Pietro.

La prima uscita pubblica del film avvenne senza anteprima nel settembre 1945 ed ebbe scarso successo. Solo successivamente, al Festival di Cannes del 1946, vinse il Grand Prix come miglior film, dando il "La" ad una vasta schiera di premi e riconoscimenti, tra cui tre Nastri d'Argento e la nomination per l'Oscar alla sceneggiatura. A questa partecipò, insieme al grande Rossellini, anche quel pezzo da novanta chiamato Federico Fellini, una coppia che aveva appena iniziato a scrivere la storia del cinema italiano e soprattutto romano.

A quei tempi anche il cinema era in fin di vita, sorretto solo da pochi produttori che ancora potevano sborsare qualche liretta e da volenterosi attori mossi più dall'amor patrio che dalla voglia di protagonismo. Con le pellicole pagate a peso d'oro, perfino il doppiaggio era un lusso, e gli attori dovettero fare di necessità virtù arrivando a doppiare loro stessi. Fotografi amatoriali immortalavano scene di strada ed una buona parte del film fu costituita da brevi spezzoni di pellicola provenienti da macchine fotografiche Leica. Per un mago della pellicola come Rossellini era stato un gioco da ragazzi unirli sapientemente per dare forma al capolavoro del neorealismo del dopoguerra. Sulle difficoltà realizzative che Rossellini incontrò per la produzione del film, nel 1996 venne girato Celluloide, con protagonista Massimo Ghini.

I fatti raccontati nel film avvennero quando la nostra amata capitale fu proclamata "città aperta", in altre parole terra di nessuno, dove chi arrivava poteva fare quello che voleva. In realtà, a detta di molti testimoni, a quel tempo Roma aveva già ricominciato a vivere, a brulicare, in centro ma soprattutto in periferia. E fu proprio in periferia che si svolsero le scene più vere e commoventi; basti ricordare via Montecuccoli, al quartiere Prenestino, dove la Sora Pina cade sotto le mitraglie, e forte Bravetta, dove don Pietro viene giustiziato dall'ufficiale nazista, costretto ad ultimare da solo l'infame ordine che il suo plotone non era riuscito ad eseguire.

I personaggi eroici del film furono tutti tratti da persone reali e fatti avvenuti realmente. Fu così che con il grande Fabrizi prese vita il mite sacerdote don Pietro Pellegrini, una sapiente miscela di due sacerdoti esistiti davvero. Da una parte don Pietro Pappagallo, che aveva aiutato la resistenza fabbricando documenti falsi per clandestini e bisognosi, e per questo morendo alle Fosse Ardeatine, e dall'altra don Giuseppe Morosini, messaggero per i partigiani, giustiziato appunto al Forte Bravetta.

Anche il bravo Marcello Pagliero, intepretando Luigi Ferraris alias Giorgio Manfredi, ingegnere partigiano che fugge sopra i tetti dell'ambasciata di Spagna all'inizio del film, è un'immagine vicina alla realtà. Infatti Sergio Amidei, altro grande sceneggiatore del film, voleva probabilmente rivedere se stesso, quando, membro del partito comunista, era stato costretto a fuggire dalla pensioncina di Piazza di Spagna, che esisteva veramente ed era gestita dalle due vecchiette che nel film interpretavano loro stesse.
magnani_sorapinaE, per finire, la immensa Magnani, che riporta alla memoria la morte di una madre di 5 figli ed in cinta al settimo mese, Teresa Gullace, avvenuta davanti alle caserme di Viale Giulio Cesare il 3 marzo 1944 in maniera simile a quella del film, mentre tentava di recapitare un tozzo di pane al marito che attendeva in prigione la deportazione.

Nonostante la polvere che imbianca ormai la pellicola, "Roma città aperta" continua ad alimentare spunti di riflessione, facendo rivivere che ancora bruciano nella memoria dei romani. Personalmente, ho sorriso e mi sono commosso più volte: davanti a don Pietro, che fischietta l'immortale aria della "Mattinata fiorentina" per concordare il segno di riconoscimento del partigiano cui dovrà consegnare il messaggio; alla Sora Pina, che si vergogna ammettendo di credere ancora in Dio, colpevole di aver permesso l'accadimento di tutti gli eventi nefasti della guerra; ancora davanti a don Pietro, che non dimentica la propria indole di prete anche nella bottega dove incontrerà i partigiani che stampano clandestinamente l'Unità, girando le statue nude in maniera che non si guardassero a vicenda; ed infine, pensando ai bambini "bombaroli", simbolo di un coraggio senza età, che rimanevano pur sempre bambini quando tornavano a casa e prendevano gli scappellotti dai genitori.
E passando in rassegna i personaggi interpretati da quei grandi attori, ringrazio Pina, Pietro, Luigi alias Giorgio e tutti gli altri coraggiosi che, scappando sui tetti, recapitando biglietti, dissimulando, fingendo, morendo, hanno consegnato a noi posteri una città da proteggere e da amare, per non rendere vani quei sacrifici.

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