L’8 aprile cominciano, nel giorno della vigilia, i festeggiamenti della Pasqua ebraica.
Ecco come la comunità di Roma celebra una delle ricorrenze più importanti e sentite.
Siamo nell’anno 5769 secondo il calendario ebraico, e precisamente nel mese di nissan, il primo mese dell’anno.
A metà mese si ricorda la liberazione dalla schiavitù in Egitto degli ebrei, e il loro passaggio 3300 anni fa attraverso il Mar Rosso fino al Sinai, dove ricevettero la legge di Dio.
E’ proprio questo il significato della parola ‘Pesach’, passaggio, inteso non solo come esodo, ma anche come cammino verso un periodo più luminoso, non a caso la ricorrenza coincide sempre con la prima luna piena dopo l’equinozio di primavera.
A caccia di ‘chametz’. Durante la settimana di Pesach non è consentito nutrirsi di cibi lievitati, detti ‘chametz’, ed è previsto invece mangiare pane non lievitato, detto ‘matzah‘.
Anche qui le motivazioni storiche si intrecciano a quelle simboliche.
La tradizione vuole infatti che il pane non lievitato ricordi la fuga dall’Egitto, avvenuta così velocemente, che non si ebbe nemmeno il tempo di far lievitare il pane.
Ma il lievito, che serve per l’appunto a gonfiare, simboleggia anche l’arroganza dell’uomo, atteggiamento che lo porta lontano da Dio.
Ecco perché in questi giorni gli ebrei osservanti eliminano dalle loro case ogni traccia di ‘chametz’ attraverso pulizie profonde e accurate, in un rito che intende purificare sia il corpo che l’anima.
Se vi invitano ad un ‘seder’. Il ‘seder’ è il cuore della Pasqua ebraica, cioè la cena.
Come ogni festa ha inizio con l’accensione delle candele, e poi prosegue con la lettura di un testo detto ‘haggadah‘, in cui si ricorda l’Esodo, e la cena vera e propria, dove su un piatto vengono serviti almeno sei alimenti diversi, tutti legati alla simbologia pasquale.
Di solito il piatto del ‘seder’ prevede l’agnello arrosto, ‘zeru’a’, in ricordo dell’agnello sacrificato la notte della fuga dall’Egitto, un uovo sodo, ‘beitza’, simbolo di nuova vita, delle erbe amare, in ricordo della durezza della schiavitù in Egitto, una salsa dolce, ‘haroset’, ricordo della malta che preparavano gli ebrei durante la schiavitù, ed il ‘karpas’, di solito una verdura come il sedano, per ricordare che la Pasqua è il periodo della nuova stagione e della mietitura.
Durante la cena è tradizione bere quattro bicchieri di vino, in onore delle quattro promesse bibliche di redenzione, ma se ne deve bere solo metà, per rimanere lucidi e non perdere la capacità di riflettere e ricordare.
Le funzioni religiose cominciano in Sinagoga, nel quartiere del ghetto, il giorno della vigilia di Pesach, e proseguono i giorni 9 e10 con celebrazioni solenni.
La mattina della vigilia, gli ebrei osservanti si recheranno al tempio e all’uscita reciteranno la ‘benedizione del sole‘, con cui si rende omaggio al Creatore per la bellezza del sole, del suo calore e della sua luce.
E’ un rito che si celebra una volta ogni 28 anni, e, cosa rarissima, che quest’anno coincide con la vigilia di Pesach, evento che si ritiene succeda solo in momenti storici significativi.
La speranza di tutti è che porti periodi di luce e di positività.
Immagini tratte da Wikipedia.org