Non soltanto il nome di una band, ma un modo particolare di intendere e fare musica. Non solo milioni di dischi venduti in tutto il mondo, ma una speciale maniera di proporsi che, sin dall’inizio, è divenuta inconfondibile. The Cure hanno rappresentato e rappresentano questo e il nome del leader Robert Smith è entrato sicuramente nella lista dei grandi del rock o, meglio ancora, una leggenda.
La loro importanza sta nell’aver saputo cogliere il grande cambiamento che era nell’aria, alla fine degli anni ’70 e inizi anni ’80. Il punk andava esaurendosi e serviva, dunque, qualcosa di nuovo. Ecco allora il post-punk di “Three Imaginary Boys”, l’album di debutto del 1979. Lo stile è vicino al punk e ci sono dei riferimenti pure a David Bowie, ma già emergono idee che poi verranno notevolmente ampliate e sviluppate negli album successivi. Nel 1980 esce una riedizione del primo album con l’aggiunta di alcuni brani nuovi, tra cui “Boys Don’t Cry”, forse il brano più celebre in assoluto della band inglese. Il successo arriva, ma evidentemente per Smith e compagni la realtà circostante sembra assumere toni cupi ed opprimenti. “Seventeen Seconds”, il secondo effettivo album, uscirà sempre nel 1980 e segna un drastico cambio di rotta rispetto al debutto discografico. Le atmosfere divengono rarefatte e si può iniziare a parlare di “dark” o “darkwave”. Il brano “A Forest”, ad esempio, lo si considera come uno dei più importanti dell’intera scena mondiale “dark”. The Cure continueranno sulla stessa strada con il successivo lavoro, “Faith” (1981), mentre la piena maturità la raggiungeranno con “Pornography”, pubblicato nell’anno successivo, e considerato un po’ da tutti come l’apice compositivo della band. I toni qui sono ancora cupi, prevale una scarna sezione ritmica e tutto è ridotto all’essenziale. L’atmosfera è, però, il punto di forza di “Pornography”. Nessuno spazio all’ottimismo, tutto è segnato da nichilismo, rabbia e disperazione. Con questo loro lavoro iniziano ad essere considerati gli eredi dei Joy Division e punto di riferimento per tutto il panorama “dark” e “gothic”. Allo stesso tempo, i rapporti tra i componenti della band iniziano a deteriorarsi, il tutto accompagnato da uno stato mentale di Smith non proprio sereno e lucido. The Cure rischiano così lo scioglimento. Dopo litigi e tensioni, la band torna con “The Top” (1984), album che segna ulteriore svolta nella carriera del gruppo. Addio oscurità a favore, invece, di sperimentazioni sonore continue che, però, porteranno ad un lavoro parecchio disomogeneo. Troppo vicini al pop? E’ il quesito che , di bocca in bocca, si propaga nella scena “dark”, tuttavia la band continua a vendere molto, in particolare con “The Head on the Door” (1985). Il disco presenta una formazione (a cinque) profondamente rinnovata, mentre il pilastro rimane comunque sempre Smith. C’è più serenità nella vita del leader e, in generale, in quella di tutti i musicisti. Si continua la ricerca di suoni alternativi, abbandonando il “dark” dei primi album. I singoli spopolano, in particolare “Close to me”, da cui sarà tratto un fortunato video. Stesso discorso pure per il successivo “Kiss Me, Kiss Me, Kiss Me” (1987), anche per quanto riguarda le tantissime copie vendute. C’è un po’ di tutto in questo lavoro, dal pop al rock psichedelico, fino a brani vicini all’hard rock. Il successo è travolgente, anche perché i The Cure sono riusciti ad interessare tipologie molto diverse di ascoltatori e non solo, ovviamente, quelli legati prevalentemente alla musica dark-gothic.
Nondimeno, pure per una band di quello spessore arriverà il momento deludente dal punto di vista delle vendite e dell’interesse della critica. Dopo gli ottimi “Disintegration” (1989) e “Wish” (1992), pubblicano nel 1996, “Wild Mood Swings”, lavoro ricco di melodie e toni “allegri”, che spiazzerà sostenitori e critici musicali. Un flop forse imprevisto, ma che non porterà al disfacimento della band, che tornerà quattro anni dopo con un nuovo album di inediti intitolato “Bloodflowers”. Stavolta l’accoglienza sarà completamente diversa ed i The Cure riagguantano il successo, soprattutto di critica. Il resto della loro carriera sarà sempre un alternarsi di album di inediti, raccolte e concerti. Una cosa comunque è sicura, nessuno si attende più capolavori o milioni di copie vendute. Il meglio, come si dice per tanti altri gruppi storici, lo hanno già dato.
Rimangono gli appuntamenti live, un modo per ripercorrere, assieme alla band, i momenti più significativi della loro lunga carriera. Ecco perché ogni loro concerto è sempre un evento e così è anche per l’imminente tour estivo che li vedrà protagonisti, lunedì 9 luglio, a Rock in Roma 2012; precisamente all’Ippodromo di Capannelle. Si preannuncia uno show particolare, perché ad accompagnarli sono previsti diversi gruppi cono sonorità e storie alle spalle diverse. Si comincia coi Denimor, i vincitori del contest “Edison, Change The Music 2011”, per poi proseguire con l’ex voce degli Scisma, Paolo Benvegnù, con la gothic band inglese The Cranes e, infine, col duo di Toronto, Crystal Castles, che propongono musica elettronica. Chiaramente a chiudere la lunga maratona live, ci penseranno i The Cure, sempre amati ed attesi dal pubblico italiano. Appuntamento, perciò, da non perdere per gli amanti della musica “alternative” in generale e non solo di un genere ben specifico. Del resto, è proprio la storia dei The Cure, che qui è stata presentata in sintesi, a parlare chiaro: spesso le etichette non servono e non possono definire le sonorità proposte da una band. Robert Smith è andato sempre avanti per la sua strada, non badando a rimanere ancorato ad un genere preciso. Ha seguito comunque il suo istinto, ha proposto una musica in linea con lo stato d’animo del momento. Era depresso, si sentiva a disagio col mondo? Ecco allora “Pornography”. Si sentiva, invece, più ottimista, senza grossi disagi interiori? Bene, era allora il momento di pubblicare un album come “Wild Mood Swings”. Sono lavori che possono piacere, oppure no, ma ciò che conto è l’onestà intellettuale. Tanti gruppi, invece, seguono mode del momento ed escono con un sound ben preciso dall’industria discografica. Si può fallire con uno o due album, com’è accaduto alla band inglese, ma l’importante è attenersi al proprio istinto e rischiare. Lo dovremmo fare un po’ tutti noi nello nostre vite, anche se non possiamo vantare milioni di copie vendute…
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