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La loro importanza sta nell’aver saputo cogliere il grande cambiamento che era nell’aria, alla fine degli anni ’70 e inizi anni ’80. Il punk andava esaurendosi e serviva, dunque, qualcosa di nuovo. Ecco allora il post-punk di “Three Imaginary Boys”, l’album di debutto del 1979. Lo stile è vicino al punk e ci sono dei riferimenti pure a David Bowie, ma già emergono idee che poi verranno notevolmente ampliate e sviluppate negli album successivi. Nel 1980 esce una riedizione del primo album con l’aggiunta di alcuni brani nuovi, tra cui “Boys Don’t Cry”, forse il brano più celebre in assoluto della band inglese. Il successo arriva, ma evidentemente per Smith e compagni la realtà circostante sembra assumere toni cupi ed opprimenti. “Seventeen Seconds”, il secondo effettivo album, uscirà sempre nel 1980 e segna un drastico cambio di rotta rispetto al debutto discografico. Le atmosfere divengono rarefatte e si può iniziare a parlare di “dark” o “darkwave”. Il brano “A Forest”, ad esempio, lo si considera come uno dei più importanti dell’intera scena mondiale “dark”. The Cure continueranno sulla stessa strada con il successivo lavoro, “Faith” (1981), mentre la piena maturità la raggiungeranno con “Pornography”, pubblicato nell’anno successivo, e considerato un po’ da tutti come l’apice compositivo della band. I toni qui sono ancora cupi, prevale una scarna sezione ritmica e tutto è ridotto all’essenziale. L’atmosfera è, però, il punto di forza di “Pornography”. Nessuno spazio all’ottimismo, tutto è segnato da nichilismo, rabbia e disperazione. Con questo loro lavoro iniziano ad essere considerati gli eredi dei Joy Division e punto di riferimento per tutto il panorama “dark” e “gothic”. Allo stesso tempo, i rapporti tra i componenti della band iniziano a deteriorarsi, il tutto accompagnato da uno stato mentale di Smith non proprio sereno e lucido. The Cure rischiano così lo scioglimento. Dopo litigi e tensioni, la band torna con “The Top” (1984), album che segna ulteriore svolta nella carriera del gruppo. Addio oscurità a favore, invece, di sperimentazioni sonore continue che, però, porteranno ad un lavoro parecchio disomogeneo. Troppo vicini al pop? E’ il quesito che , di bocca in bocca, si propaga nella scena “dark”, tuttavia la band continua a vendere molto, in particolare con “The Head on the Door” (1985). Il disco presenta una formazione (a cinque) profondamente rinnovata, mentre il pilastro rimane comunque sempre Smith. C’è più serenità nella vita del leader e, in generale, in quella di tutti i musicisti. Si continua la ricerca di suoni alternativi, abbandonando il “dark” dei primi album. I singoli spopolano, in particolare “Close to me”, da cui sarà tratto un fortunato video. Stesso discorso pure per il successivo “Kiss Me, Kiss Me, Kiss Me” (1987), anche per quanto riguarda le tantissime copie vendute. C’è un po’ di tutto in questo lavoro, dal pop al rock psichedelico, fino a brani vicini all’hard rock. Il successo è travolgente, anche perché i The Cure sono riusciti ad interessare tipologie molto diverse di ascoltatori e non solo, ovviamente, quelli legati prevalentemente alla musica dark-gothic.
Nondimeno, pure per una band di quello spessore arriverà il momento deludente dal punto di vista delle vendite e dell’interesse della critica. Dopo gli ottimi “Disintegration” (1989) e “Wish” (1992), pubblicano nel 1996, “Wild Mood Swings”, lavoro ricco di melodie e toni “allegri”, che spiazzerà sostenitori e critici musicali. Un flop forse imprevisto, ma che non porterà al disfacimento della band, che tornerà quattro anni dopo con un nuovo album di inediti intitolato “Bloodflowers”. Stavolta l’accoglienza sarà completamente diversa ed i The Cure riagguantano il successo, soprattutto di critica. Il resto della loro carriera sarà sempre un alternarsi di album di inediti, raccolte e concerti. Una cosa comunque è sicura, nessuno si attende più capolavori o milioni di copie vendute. Il meglio, come si dice per tanti altri gruppi storici, lo hanno già dato.
Rimangono
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