Tu_chiamale_se_vuoi_coincidenze

Incontro con Gabriele La Porta. Coincidenze ma non solo…

Tu_chiamale_se_vuoi_coincidenze“Appiattiti in un’unica dimensione, fare per fare, siamo diventati sordi e ciechi rispetto alla meraviglia, che rifiutiamo perché anestetizzati dal materialismo che ci ha risucchiati in una spirale di sopraffazione. Ebbene, per me, le coincidenze sono un antidoto.”
Questa citazione è tratta dalla premessa di “Tu chiamale se vuoi coincidenze. Quaranta storie realmente accadute”, l’ultimo libro di Gabriele La Porta, pubblicato da La Lepre Edizioni.

Si tratta, perciò, di vicende che La Porta ha raccolto attraverso programmi tv, email e dal suo personale blog. Il perché è presto detto. Per l’ex direttore del palinsesto Rai Notte, le coincidenze costituiscono proprio un rimedio ad una quotidianità asfittica, arrivandola a definire perfino una “prigione”. Secondo La Porta, noi tutti dovremmo dare maggiore rilievo al mormorio, al bisbiglio, che proviene dalla nostra interiorità, o meglio sensibilità. Le , in questo, sembrerebbero più avvantaggiate e non è un caso, infatti, che siano loro le principali protagoniste di questi racconti.
La decima edizione della Fiera Nazionale della Piccola e Media Editoria ha riservato uno spazio alla presentazione di tale libro. Proprio al Palazzo dei Congressi vi è stata l’opportunità di incontrare l’autore. Le “coincidenze” hanno costituito il tema principale della nostra discussione, ma non solo; questo perché La Porta è una persona che vanta una grande esperienza in Rai e può benissimo esprimere un giudizio mirato sull’attuale servizio pubblico.

Gabriele_La_PortaDott. La Porta, lei è nato a Roma, ha quasi sempre lavorato a Roma e, credo proprio, sia legato particolarmente a questa città. Qual’è, perciò, il suo rapporto con Roma?

Sono nato a Roma, ma sono andato via piccino, per poi ritornare all’età di 9 anni. Da quel momento non mi sono più mosso da Roma, nel senso che questa città è stata il fulcro della mia carriera. Mi sono trovato molto bene, anche perché sono sempre andato bene a scuola ed ho terminato l’università velocemente. A 23 anni ho avuto la possibilità di entrare in Rai per una serie di circostanze fortunatissime. Vi sono entrato come collaboratore assieme ad un mio amico. Lui è stato assunto e dovevano allora prendere anche me. Da quel momento è iniziata la carriera in Rai, senza però aver tralasciato l’insegnamento, altra mia grande passione. Ho lavorato, infatti, a Bari, Siena e Verona e anche adesso continuo ad insegnare Storia della Filosofia in queste università. Comunque Roma rimane sempre al primo posto, anche perché gli amori sono tutti riconducibili a questa città!
La Rai ha chiaramente avuto un ruolo centrale nella sua carriera. Cosa pensa della situazione attuale dell’azienda e della sua valenza come servizio pubblico? Che differenze ci sono tra quella di adesso e la “sua” Rai?
Le differenze? C’è un vero abisso. Sì, come nome è lo stesso, ma per il resto la situazione è molto diversa. Noi dovevamo fare servizio pubblico. Io ho avuto, come Direttore Generale, Ettore Bernabei, una persona che raccomandava a noi tutti di essere d’aiuto alle persone che non comprendono. Non c’era volgarità, tutto un altro metodo. Il mio palinsesto notturno era ricco di momenti dedicati alla , mentre oggi non mi sembra esattamente la stessa cosa. C’è Gigi Marzullo e, anche se bravo, è lasciato da solo. Io invece facevo esclusivamente programmi culturali e, quando sono andato via, le cose sono cambiate di molto.
In che modo è terminata, allora, la sua lunga carriera in Rai?
Già è tanto che mi abbiano lasciato lì fino alla pensione! Questo perché facevo delle cose che, forse, non erano molto gradite, in particolare al Direttore Generale Mauro Masi. La mia programmazione era di vero aiuto anche nei confronti delle piccole case editrici. Tutto ciò è saltato per aria. La Rai oggi non è né servizio, né pubblico.
Lei è qui oggi per presentare il suo ultimo libro. Lo psicoanalista James Hillman ha affermato che la società di oggi adora la normalità, ma non ha più interesse per il “genio”, gli “angeli”, le “anomalie”. Ciò allontanerebbe le persone dalla “meraviglia”, dagli “invisibili”, che poi sono al centro proprio del libro. Che ne pensa?
Il sentire comune non ha molta considerazione del “genio”, degli “invisibili”. Occorre, invece, essere persone elevate per andare in profondità nelle cose ed avere l’istinto della venerazione. Sono pochi coloro che venerano il “genio”.
Cosa sono, in particolare, questi “invisibili”?
Gli invisibili sono entità o, meglio ancora “anime”. E’ qualcosa che non si perde con la morte, qualcosa delle persone particolarmente sapienti che non si disperde. Perciò si può parlare di una dimensione intermedia, un po’ come quella degli angeli.
Il suo significato di “divino”?
Il divino non è intermedio, entra nelle cose ma è altro. Non ci sono rapporti diretti con le coincidenze. Queste, invece, costituiscono un passaggio tra due mondi, il nostro mondo con quello delle anime. Anima però come nostra parte inconscia e, tuttavia, nel senso proposto da Jung.
Lei ha scritto che l’amore mostra i legami fra noi e l’altro. Una cosa, questa, tipica delle donne, che poi sono le vere protagoniste delle vicende raccontate nel libro. Perché sono in maggioranza proprio donne?
Poco da dire, le donne sono più sensibili e riescono a cogliere qualcosa che, a noi maschietti, risulta difficile da afferrare, decifrare. Quindi, viva il Femminile! Il Femminile è una qualità che non appartiene soltanto alle donne, ma anche agli uomini.

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