Dal Medio Oriente arrivano continuamente notizie sconcertanti, inquietanti, spaventose. Attentati, omicidi, esplosioni e devastazione. E prendiamo queste notizie per come ce le raccontano, quasi sempre con spirito acritico e senza conoscere la storia (anche recente) di quei paesi.
Purtroppo, solo raramente sui nostri schermi arrivano film mediorientali. E ancora meno spesso questi film vengono insigniti di riconoscimenti cinematografici di valore internazionale. Quando questo capita, l’occasione è imperdibile per tentare di comprendere la cultura, le tradizioni e le dinamiche storico-politiche di quei paesi. Qualche anno fa fu la volta del film “Il cacciatore di aquiloni”, tratto dall’omonimo libro di Khaled Hosseini, scrittore americano di origine afghana. Questa volta è toccato al film “Donne senza uomini” (Zanan bedoone mardan), vincitore del Leone D’Argento per la migliore regia alla 66° rassegna veneziana, tratto dall’omonimo romanzo della scrittrice iraniana Shahrnush Parsipur.
Shirin Neshat, quasi 53 anni splendidamente portati, è una video artista iraniana già creatrice di video e installazioni di successo ed è alla sua prima esperienza cinematografica da regista. Il suo lungometraggio uscirà ufficialmente nelle sale italiane il 12 marzo e già promette di ottenere un grande successo. La sua presenza nel cinema Mignon di via Viterbo per l’inaugurazione ha scatenato l’entusiasmo del pubblico, che l’ha acclamata per il suo coraggio e l’importante riconoscimento artistico ricevuto. Come afferma Shirin Neshat, “è importante ed emblematico che il film sia stato presentato proprio nel giorno della festa delle donne”, precisando che “nonostante il titolo, questo non è un film contro gli uomini, che mi piacciono molto”.
L’ambientazione è a Teheran, capitale dell’Iran, nel 1953. Lo scenario politico è quello del colpo di stato (nome in codice dell’operazione: AJAX) organizzato da americani ed inglesi nell’agosto di quell’anno. In quella occasione, il governo democratico di Mohammad Mossadegh, primo ed ultimo della storia iraniana, fu rovesciato e al potere tornò il regime dittatoriale dello Scià Reza Pahlavi. Il motivo del golpe fu ancora una volta evidentemente economico, in quanto Mossadegh aveva appena nazionalizzato la proprietà delle risorse petrolifere iraniane, togliendo di fatto alle potenze occidentali una enorme fonte di facile guadagno. Questi eventi storici, utilizzati splendidamente come sfondo dall’artista per raccontare le storie travagliate di 4 donne coraggiose, costituirono tappe cruciali dell’Iran, portando pian piano il paese fino alla rivoluzione islamica scoppiata nel 1979, che dura ancora oggi.
La storia del film racconta la rivolta personale, ed allo stesso tempo culturale, di 4 donne socialmente diverse che cercano coraggiosamente di sfuggire, ciascuna a suo modo, da un destino apparentemente ineluttabile. I loro destini si incrociano all’interno di una meravigliosa tenuta di campagna, dove riescono per un breve periodo a scambiarsi amicizia, comprensione e conforto.
La cultura iraniana è profondamente simbolica. A tal riguardo, il giardino del film rappresenta il concetto politico di “indipendenza”, “esilio”, “libertà”. Insomma, un’oasi dove rifugiarsi per trovare protezione e sicurezza. Ed in questa oasi si svolge per un lungo tratto una storia parallela, apparentemente lontana da quella di Teheran, fatta di scontri e sommosse.
Fakhri, intrappolata da anni all’interno di un matrimonio coatto ed ancora innamorata di un uomo amato in precedenza, si ribella al marito e fugge da Teheran arrivando per prima nella tenuta, dove si stabilisce per vivere ritrovando da subito serenità e autostima. Munis ha una forte ed attiva coscienza politica, ma un fratello tradizionalista la costringe a reprimere i suoi principi sociali facendola arrivare al suicidio per liberarsi dall’oppressione. Faezeh, innamorata del fratello di Munis, scopre la sua indipendenza solo dopo aver subito una violenza. Ed infine Zarin, una prostituta che fugge dal bordello quando a causa della sua depressione non è più capace di vedere il volto degli uomini, approdando nel casolare di campagna ed entrando in comunione con la natura. Accanto alla figura di Zarin, nel film recita una breve ma stupenda parte anche l’autrice del libro, Shahrnush Parsipur, che interpreta la tenutaria del bordello. Secondo quanto descrive la stessa Shirin Neshat, dopo l’incontro con l’autrice del libro essa “è diventata una forza trainante della mia vita, sia attraverso i suoi scritti, sia come donna che ha subito più sofferenze di chiunque io conosca: anni di prigionia, la separazione dal figlio, la povertà, la malattia. Eppure Shahrnush resta una delle persone più positive ed ottimiste che io abbia mai incontrato”.
È interessante come la regista presenta il tema del chador, il velo islamico. Infatti, negli anni ’50 “le donne potevano scegliere se indossare o meno il velo”. Per questo, nel film alcune donne lo indossano (Faezeh e Munis), mentre altre (come Fakhri) non lo utilizzano.
Non essendo stato possibile, per ovvi motivi, girare il film in Iran, è stata scelta Casablanca. In questa città, infatti, oltre che trovare scenari molto somiglianti alla vecchia Teheran degli anni ’50, la regista aveva avuto esperienze cinematografiche che l’hanno facilitata per l’organizzazione delle riprese.
Il casting è durato un anno e mezzo ed è stato uno dei lavori più duri, in quanto la regista sapeva fin dall’inizio che non potevano essere scelti attori iraniani viventi in Iran. Inoltre, anche una volta deciso di selezionare in Europa, bisognava scegliere attori che non avessero un forte accento della nazione di provenienza, trattandosi comunque di seconde generazioni di iraniani.
Il film “Donne senza uomini” offre un prezioso spunto di riflessione per approfondire la storia attuale e recente, per trovare risposte a domande “pesanti” o semplicemente per appagare la curiosità di sapere. Dalle parole della stessa regista “ho la sensazione che solo dopo l’11 settembre l’opinione pubblica americana abbia sviluppato un’autentica curiosità e un genuino interesse per le culture e la storia islamiche e mediorientali”. Ovviamente non possiamo riavvolgere il nastro della storia, ma probabilmente “sarebbe utile rivisitare la storia, in modo da chiarire determinati fatti, comprendere i motivi profondi all’origine del conflitto tra occidente e mondo musulmano ed offrire nuove prospettive”.