Sciuscia

Sciuscià, quando il vero protagonista è la poesia

SciusciaIl Neorealismo è stato un rilevante movimento culturale che ha caratterizzato l'Italia del dopoguerra. È soprattutto nel cinema che ha ottenuto grandissimi risultati e numerosi riconoscimenti in tutto il mondo. Questo tipo di cinema voleva raccontare la situazione economica culturale e sociale dell'Italia appena uscita dal disastro del secondo conflitto mondiale. C'è voglia di riscatto, desiderio di reagire a condizioni di vita spesso parecchio difficili. Protagonisti del Neorealismo cinematografico sono i lavoratori e, generalmente, le classi più disagiate, che lottano tutti i giorni per sopravvivere. La macchina da presa veniva usata per pedinare gli attori (solitamente non professionisti), il tutto accompagnato con lunghe riprese all'aperto. Tanti sono i capolavori che hanno portato alla gloria il nostro cinema ed uno di questi è, senza dubbio, “Sciuscià” di Vittorio De Sica, regista simbolo di questo movimento cinematografico.

A che servono [quelle carte]?
Si legge l'avvenire.
Allora a noi ci potrebbe dire che ci succederà domani? […] Che c'entra, voi siete due ragazzini.
Perché, i ragazzini non ce l'hanno un avvenire?
Sono proprio due ragazzini, Pasquale e Giuseppe (interpretati in modo straordinario da Franco Interlenghi e Rinaldo Smordoni), i protagonisti di questo film del 1946. Una cosa colpisce subito lo spettatore, i bambini in questione sono degli sciuscià, ossia lustrascarpe, che lavorano sui marciapiedi della celeberrima via Veneto della Capitale. Con quello che riescono a guadagnare, i due si recano di frequente a Villa Borghese ed affittano un cavallo bianco chiamato Bersagliere e lo cavalcano in due. Tuttavia questi ragazzini si ritroveranno coinvolti, senza volerlo, in un furto a casa di una chiromante, alla quale volevano rivendere delle coperte. Verranno, quindi, rinchiusi in un carcere minorile, dove dovranno affrontare prove dure, che arriverà pure a mettere alla prova la loro amicizia. Il commissario e il direttore del carcere fanno credere, infatti, a Pasquale che Giuseppe verrà frustato se lui non deciderà di rivelare i nomi dei complici del furto dalla chiromante. Il bambino non resiste e inizia a parlare.
Vittorio De Sica e Cesare ZavattiniDa qui in poi sarà tutto un alternarsi di vicissitudini che coinvolgeranno i due poveri sciuscià, vittime di una società crudele che non risparmia neppure i più indifesi e fragili.
Il film vuole appunto denunciare la società dell'epoca rappresentata, in particolare, dalla violenza (pure psicologica) ai danni dei bambini. Il futuro, la salvezza, l'unica via di fuga, sembra essere Bersagliere, il cavallo bianco tanto desiderato da Pasquale e Giuseppe. Ma la realtà è crudele ed i due sciuscià saranno costretti dalle circostanze a crescere troppo in fretta ed a non godersi, perciò, il periodo dell'infanzia. Forse è proprio questo il vero orrore, la grande violenza che una società miope, arida e perbenista riesce ad attuare.
Alla sceneggiatura hanno collaborato professionisti di enorme talento ed esperienza: Cesare Zavattini, Sergio Amidei, Adolfo Franci e Cesare Giulio Viola. Numerosi i premi che riceverà “Sciuscià”, in primis quello come “Miglior film straniero” agli Oscar del 1948, la nomination come “Migliore sceneggiatura originale” ai prima citati autori. Infine, ricordiamo il Nastro d'Argento del 1946 come “Migliore regia” assegnato a Vittorio De Sica.
Un film piuttosto crudo, quindi, ma denso di poesia e di inquadrature che, possiamo dire, hanno contribuito a fare la storia del nostro cinema. Raccontare le contraddizioni, le brutture della società, dovrebbe essere uno dei principali compiti del cinema. Anche oggi troviamo film con simili intenzioni, tuttavia a mancare è il talento, la cura nei dettagli, le atmosfere… Potremmo pure arrivare a dire che il nostro cinema contemporaneo manca di poesia. C'è, perciò, ancora spazio per la poesia? Nell'editoria, come si usa dire, la poesia come genere letterario non tira più, non vende insomma. Forse dovremmo un po' tutti metterci un po' di “poesia” nelle cose che facciamo. Anche nella miseria e fra mille difficoltà, l'Italia del dopoguerra sapeva aggrapparsi alla “poesia”. Senza di lei è inevitabile affondare e le crisi economiche, spread impazzito e così via, rischiano di divenire solo degli alibi…

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